L'Atelier LiberaMente è uno spazio aperto, nella misura in cui va consolidando il suo pensiero e la sua pratica. Un blog permetterà di estendere l'area comunicativa, un "drama" allargato delle idee e delle competenze. Director, E. Gioacchini







martedì 14 settembre 2010

Drammaterapia, "Strappa da te la vanità, ti dico", Ezra Pound

@ Director

Dietro ogni rospo vi è un principe e dietro ogni principessa la promessa di un risveglio alla nuova stagione dell'amore...niente di più falso! Ma se in quell'anfibio e quella creatura femminile, evanescente e patinata del tuo libro di fabe...stai giocando te stesso, te stessa, tra aspirazioni e timori, cose conosciute ed altre...forse...nuove, la storia cambia radicalmente e (ancora forse) questo ti riguarda. Ne abbiamo visto lo svolgimento "anomalo" e così creativo, nella trasformazione della fiaba, nello scorso laboratorio.
Ascoltavo due giorni fa un'intervista di Pasolini ad Ezra Pound. Il grande regista leggeva al secondo, assorto in un profondo ascolto, uno scritto che gli apparteneva e dove, sacro, era il refrain di "...strappa da te la vanità, ti dico!". Lezione più grande di ricerca dell'autenticità non potrebbe esservi; esplorazione che non è schiva da errori e fraintendimenti, nostri e di chi ci guarda, come del resto è stato per la vita e il pensiero di quello che Massimo Cacciari giustamente chiama un vate, mentre la sua poesia già attraversava, senza ombre, il senso del maestoso, del pieno, del profondo nel nostro insanguinato e incredibile novecento. E poi, ancora..."...ma avere fatto in luogo del non-avere-fatto...questa non è vanità", come il suo "credere più nelle cose che nelle  parole" e nelle teorie, preferire il sentire che unisce alle idee che dividono. Parole usurate, teorie che...usurano, come la sua visione economica del sociale e poetica ed insieme sapiente dell'arte ("Nessun uomo ne sa mai abbastanza di qualsiasi arte").
Le timidezza spesso si veste, insieme alla paura, di dolcezza, edulcora la realtà, quasi chiedendo un perdono anticipato all'altro, come quel faccino del bimbo che si piega, appunto dolce e languido a commento della marachella, in fiduciosa attesa del consenso. L'abbiamo imparato ad usare in un tempo che (sonorosamente maestosa anch'essa) la voce di Gasmann domenica ci ripeteva quale fresca ed innocente prima età dell'uomo (il file audio di un brano dall'Amleto). E capita di usarla ancora, accattivante, "in luogo" (direbbe forse il poeta) dell'assunzione di responsabilità nella relazione con l'altro: cosa vuole egli, cosa voglio io, cosa posso dare, cosa posso ricevere. E poi, la disillusione dopo il "meritato" insuccesso (dove quello occorra) può diventare ancora il pronto atto di autoaccusa (in funzione di autoammenda!), di ammissione di colpa, di proclama del proprio limite, della propria buona fede e così via...Ancora quel timido tenero gesto che piega la testa di lato e poco in avanti con lo sguardo che spinge gli occhi a sollevarsi sotto una fronte, immune da rughe, nell'età innocente e già ormai solcata dai segni del tempo, nel tempo dopo.
Questo bimbo e questo vecchio per mano (come nel lirico brano di Guccini viene da dire) che sono in te, racchiudono il tempo del tuo "potere". Deve essere difeso dal rischio vanitoso che la tua "salvezza" (biologica) diventi la confusione narcisistica della personalità; che dell'animale, voglio dire, tu usi il suo istinto per aplificarne la pretesa con la tua coscienza, ad onta del diritto dell'altro.
L'incontro nasce autentico, nella poetica corrispondenza di idee ed affetti, nel completamento che non smette di incuriosire. "Abbiate curiosità", affermava Pound ai giovani; essa, la curiosità, aggiungo io, non elude la responsabilità dello scoprirsi coscienti, annusando la vita e scostando le foglie da quel pezzo di terreno davanti a noi; ma non rinnega in noi il mestiere del bambino e del primo homo abilis ed ancora prima di qualche primate arrampicato sugli arbusti africani, già troppo aridi, in attesa dell'Europa!

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