L'Atelier LiberaMente è uno spazio aperto, nella misura in cui va consolidando il suo pensiero e la sua pratica. Un blog permetterà di estendere l'area comunicativa, un "drama" allargato delle idee e delle competenze. Director, E. Gioacchini







martedì 28 settembre 2010

DRAMMATERAPIA & EMPATIA


Parte I

L'empatia è un sentimento che nella discussione sulla sua natura, come l'amore, rispolvera l'istinto e la cultura, il gruppo e l'individuo nelle sue particolarità. Se genericamente tale comportamento può essere individuato nella capacità di porsi "in the other'shoes", nei panni dell'altro nella estesa relazione con il mondo, sappiamo però che ha una origine tipicamente "teatrale: nasce per designare il sentimento dell'attore, cantore di storie, verso il suo pubblico.

Dall'Enciclopedia Treccani, Empatia s. f. [comp. del gr. ἐν «in» e -patia, per calco del ted. Einfühlung (v.)]. – In psicologia, in generale, la capacità di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, in modo immediato, prevalentemente senza ricorso alla comunicazione verbale. Più in partic., il termine indica quei fenomeni di partecipazione intima e di immedesimazione attraverso i quali si realizzerebbe la comprensione estetica.

Carl Rogers, 1970
[Credit: Courtesy of Carl Rogers]Dall'Enciclopedia Britannica, empathy, the ability to imagine oneself in another’s place and understand the other’s feelings, desires, ideas, and actions. It is a term coined in the early 20th century, equivalent to the German Einfühlung and modeled on “sympathy.” The term is used with special (but not exclusive) reference to aesthetic experience. The most obvious example, perhaps, is that of the actor or singer who genuinely feels the part he is performing. With other works of art, a spectator may, by a kind of introjection, feel himself involved in what he observes or contemplates. The use of empathy is an important part of the counseling technique developed by the American psychologist Carl Rogers.

Quando la tragedia greca proponeva sulla scena gli elementi della sventura, della disfatta, della persecuzione e contestualmente chiedeva alla parte dell'attore il superamento degli ostacoli oltre quella condizione di "crisi" rappresentata, era proprio il sentimento empatico a permettere che il suo pubblico sentisse propria la vicenda. Il dramma rappresentato parlava così di quanto appartiene alla storia degli uomini e degli dei, dell'eroe e del malvagio, arrivando a scuotere la coscienza. In un illuminato capito di un volume di Rush Rehm, "Radical Theatre: Greek Tragedy and the Modern World" (London, 2003,Classical Inter/Faces), intitolato "Tragedia e Ideologia", l'autore esamina l'attualità di quanto proposto dal teatro greco nella società moderna, il suo ruolo "mediatico" nel suggerire da sempre il superamento di cliche culturali, facendo attingere alle risorse individuali e gruppali.

"La tragedia greca pone i suoi protagonisti in situazioni letteralmente terrificanti, delle quali questi hanno piu’ o meno responsabilita’, dove molto e’ in gioco, e poi chiede loro di agire. La parola greca per questa difficile situazione, krisis, non sta ad indicare distruzione o caos, come accade invece con il nostro termine "crisi", ma implica piuttosto una scelta o una decisione.

Premesso questo, gli individui di una comunita’ che si trovino ad affrontare una situazione critica, sono soggetti a numerose influenze, tra le quali i modelli precedenti di comportamento appropriato. Potremmo chiamare la matrice di queste influenze "ideologia": l’intreccio di quei presupposti che i membri di una societa’ posseggono, o ci si aspetta che posseggano, a cui sono educati o indottrinati, e per i quali ricevono riconoscimento. In circostanze normali, l’ideologia passa inosservata e non viene messa in discussione, a condizione che abbia una base di idee, valori e azione.
Nei momenti di crisi dunque, la gente tende ad attingere a questi modelli di pensiero e azione, convalidando l’ideologia che ha plasmato la loro reazione. Tuttavia, quando gli eventi diventino sufficientemente gravi o traumatici (come sono generalmente quelli della tragedia greca) la gente puo’ anche arrivare a mettere in discussione questi modelli, e spezzare i soliti circuiti obbligati di comprensione e reazione. In tal modo, circostanze estreme aprono nuovi orizzonti di pensiero e azione, e generano nuove crisi (scelte) che hanno in se’ la possibilita’ di trasformare e anche indebolire i regimi dell’ideologia" (Riportato da PeaceLink, 20 luglio 2004 - di Rush Rehm - trad. P. Merciai)

Il valore "rivoluzionario" è implicito dunque nel teatro; la sua capacità di sollecitare nella coscienza ribaltamenti delle situazioni rappresentate, di spingere oltre l'oblio e la morte il senso del pericolo di  resa agli eventi che la coscienza ha permesso di osservare ed articolare, e di questo abbiamo già parlato diffusamente. Se empatica è la comunicazione tra attore e spettatore, quando il teatro riesce (altrimenti non vi è tetaro, ma rappresentazione), assolutamente empatica si richiede che sia quella tra gli attori e tale elemento acquisisce un senso anche più ampio nel caso della drammaterapia. Qui sono in gioco le reciproche rappresentazioni della scena, in bilico di imperfetta armonia con quanto previsto dal testo. E' comprensibile che si generi una costante dimensione transferale, che invece non è richiesta al teatro; che con quella si lavori e si alimenti il processo drammaterapico. (segue parte II)

1 commento:

  1. Non ci avevo mai pensato director, ma effettivamente la capacità di comunicare, e di rappresentare le parti, nasce nell'attore da un processo empatico.
    E' forse la voglia di donarsi al "suo" pubblico, e assorbire dallo stesso quell'energia benefica che rende il teatro così coinvolgente?
    E' per questo che ci sono attori che sono "grandi" -oltre che bravi- ed altri che non riescono ad esserlo?
    Nero

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