L'Atelier LiberaMente è uno spazio aperto, nella misura in cui va consolidando il suo pensiero e la sua pratica. Un blog permetterà di estendere l'area comunicativa, un "drama" allargato delle idee e delle competenze. Director, E. Gioacchini







sabato 25 settembre 2010

Drammaterapia, quando la Principessa s’immerge nello stagno. Meta-analisi di un frammento di laboratorio









Parte II
La Principessa è stata oramai strappata allo Stagno, così tanto sottratta a quel luogo che parte di esso vi rimane attaccato...Un piccolo ranocchio, forse Principe anche lui, forse solo anfibio è trascinato via dal suo luogo nel vortice che vuole riprendersi "umana", sulla terra, la giovane fanciulla. Le lunghe zampe posteriori allungate, lui sul fianco, stremato dal tentativo di trattenere l'allegra e dolce compagna di giochi. Tutti osservano. Silenzio e sconcerto, mentre il director indica che "qualcuno", in questa diatriba tra crescita ed involuzione, tra libertà e possesso, "ci ha lasciato le penne"!  Il ranocchio è morto, lui...così avezzo per natura a praticare tra terra ed acqua, forse è stato fiaccato da un tentativo che spostava il suo progetto a cercare altro. La Principessa lo osserva, sicuramente con grande dolore; Il Re padre è sconcertato, direi impietrito,  e con lui Regina madre; ogni donna è comunque madre nella vita..Quel corpo freddo è ora più freddo di quanto la natura preveda per lui. Non si muove, viene spostato, tirato per le zampe in un luogo più asciutto, più "umano", come quegli sguardi impauriti che ora lo stanno osservando. Sì, è morto ed allora intorno a lui il corteo degli "umani" si affanna in carezze che vorrebbero tirarlo indietro, nella vita, indietro nella storia. Il Re padre: "...se questo ranocchio è perito, in lui è morta anche la possibilità di diventare un "principe". Poco prima, nei panni del Ranocchio, egli aveva sperimentato il dolore di una impossibilità ad esserlo ancora...un principe vero ed ora si ripete la pena conosciuta, il nuovo attentato alla "salvezza" del proprio intento, desiderio, liberazione. I volti sono affranti; più che affranti...congelati anch'essi e non si ascolta più alcun gracidare intorno. Il viso della Principessa è un'elegia di "preghiera", un essere in tanti posti tra il prima ed il poi. Un sacro pianto nel silenzio del possibile.

Foto di scena: Laboratorio di Storytelling ed Hypnodrama, Il Principe Rospo, 10.09.10, Claudio Gioacchini Photographer All rights reserved. Powered by Atelier Liberamente

1 commento:

  1. Come tutte le fiabe, anche questa parla di noi. Noi esseri umani, meravigliosamente imperfetti, diversi, codardi o coraggiosi, belli o brutti, alti, bassi, mori, biondi, magri, grassi, ecc... Tutte definizioni che non dicono nulla di ognuno di noi; ne fanno solo un quadro esteriore, una sorta di documento d'identità. Ma chi sono realmente quelle persone che stanno lì ad interpretare la fiaba? Nemmeno loro lo sanno, ma nel loro gesto, nei loro occhi, nelle loro azioni, -congelate ad arte dalle meravigliose foto- si può scoprire molto di più.
    E scopro allora un'azione dirompente, positiva da un lato, ma che non tiene conto dell'altrui volontà.
    Scopro l'impossibilità di accettare l'altro per ciò che è, per ciò che vuole, ma soprattutto scopro che non posso accettare il dolore. Il dolore di una morte. Soprattutto se causata da un "non gesto".
    E dentro sale il mio grido di dolore: "Noooo... Perchè non lo abbiamo salvato?"
    Eravamo troppo impegnati a litigare per ciò che dovevamo fare per la principessa e non abbiamo più visto niente, facendo morire tra le nostre tremolanti, biascicanti, pietose, inutili braccia, ben più di un ranocchio.
    "Lui era un principe... ed è morto"
    Mi fa ancora male.
    Nero.

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