L'Atelier LiberaMente è uno spazio aperto, nella misura in cui va consolidando il suo pensiero e la sua pratica. Un blog permetterà di estendere l'area comunicativa, un "drama" allargato delle idee e delle competenze. Director, E. Gioacchini







venerdì 29 ottobre 2010

Punti di Vista - il miglior modo di incontrarsi è perdersi.

@ Maria Pina Egidi

“Cosa hai visto a teatro?”
“Niente, non ho visto niente… o quasi”.
Non è una conversazione paradossale, questa. Prendiamola alla lettera per descrivere un diverso modo di vivere, agire, rappresentare ed elaborare il teatro.
Dal 21 ottobre al 31 ottobre, sarà in scena a Roma, presso il Teatro Eduardo De Filippo, lo spettacolo “Punti di Vista- il miglior modo di incontrarsi è perdersi”. Esso nasce dalla collaborazione tra Enrique Vargas, il maestro del Teatro dei Sensi (www.teatrodelossentidos.com) e gli studenti - attori non vedenti della Università degli Studi di Roma, La Sapienza.
Non c’è uno spettacolo da vedere , qui, o “solo” da vedere in questa occasione: qui c’è uno spettacolo da vivere, da sentire, da gustare, da portare dentro di sé, dopo. Dimentichiamo l’allestimento tradizionale, palcoscenico e platea. E cancelliamo anche l’idea dello spazio condiviso e di un pubblico che assiste collettivamente a una rappresentazione. Qui si entra nello spazio della rappresentazione e ci si muove entro di esso insieme agli attori. Ogni singolo spettatore, diviene per mezz’ora, il primo attore dell’allestimento e riempie la trama con le proprie sensazioni e le proprie emozioni.A intervalli perfetti di quattro minuti l’uno, si viene condotti singolarmente davanti a una porta a battenti rossa, dove, in perfetto silenzio, si attende che qualcosa accada. Quando una mano bianca, calda e gentile di un attore introduce il “viandante del teatro” nella storia che si dipana lungo un percorso da esplorare con altre risorse che non siano la vista. La memoria emotiva, la consapevolezza delle proprie risorse percettive, l’abbandono alle immagini che vengono suggerite ora dai sussurri degli attori, ora da profumi, suoni e sapori, divengono così un elemento della messa in scena che, di volta in volta, si rinnova.
Sarebbe scorretto raccontare qui cosa s’incontra dietro la porta rossa, perche si toglierebbe il piacere dell’esplorazione a chi decidesse di andare a “vedere” lo spettacolo (info nel manifesto allegato).
E lo sarebbe ancor di più se si pensa che il racconto di chi scrive non è una descrizione obiettiva dello stesso, bensì una elaborazione personale delle emozioni vissute. Si possono solo condividere riflessioni generali e sensazioni tanto profonde quanto evanescenti e difficilmente descrivibili con il solo ausilio della parola scritta.
Si può vivere il buio come un nemico, l’evocatore delle paure più profonde, il complice dell’orrore.
Si può rimanere paralizzati dalla frustrazione della mancanza di luce quando non si è più in grado di vedere ciò che la vostra penna traccia sul foglio. Ma si può anche scoprire il sapore consolatore in un sorso di vino liquoroso; si possono sentire l’amore, l’attrazione, la fiducia nel prossimo attraverso un contatto, un profumo, un sussurro . Si può scoprire che la nostra memoria contiene tesori bellissimi, forse perché nascosti da una pletora di inutili nozioni o perché offuscati da visioni più forti e impattanti. E’ come scoprire la bellezza di una precoce primula selvatica in un giardino che vi confonde con lussureggianti piante di serra.
Il ricordo dell’odore dei quaderni ai tempi della scuola, mescolati con quello della merenda e la freschezza della seta possono suggerire visioni di una tenerezza sconvolgente.
Niente di ciò che si vive, nello spettacolo, rimane inerte. Continua a stimolarvi, vi accompagna fuori nel traffico romano del ritorno a casa, con abbraccio che sostiene e un profumo di arancia che vi rasserena e fa sentire più vivi.

giovedì 28 ottobre 2010

Drammaterapia e Drammi: lo spettacolo senza spettacolo

Modello di Pompa per creare il Vuoto
@ Director

Improvvisamente la Difesa, ma subito appresso anche il Pubblico Ministero, si accorsero che mezza aula era scomparsa. Proprio così…non soltanto metà della popolazione nomade di quanti avevano assistito al dibattimento sino ad allora, ma anche metà aula fisica! I due interlocutori e dobbiamo dire anche l’associazione di “Anna e le Sue Sorelle”, nonostante l’ovvia divergenza di vedute sui fatti discussi, non avevano dubbi: se spariscono i pensieri, con loro, “virtuali” ma potenti, rischia di scomparire anche la possibilità dell’agire. Oppure essa si irrigidisce, sclerotica, nel luogo comune, nella meraviglia, cosa che tutti sappiamo differente dal sentimento di stupore, e si esprime nell’iterazione di condotte solite, abitudinarie, quelle, per intenderci, che davvero Julio Cortazar avrebbe mandato diritte alla forca. Azione…non azione, diremo, ma piuttosto ripetizione.
Quali parti, quale recitazione! Tutto appariva mostruosamente vero e neanche il doppio salto cabriato di un olimpionico invitato a testimonial, avrebbe fatto pronunciare UNA parola a quell'uditorio. Gilles de Rais ora troneggiava di nuovo, prepotente nella virtù, come lo era stato nel peccato e non aveva bisogno di puntare il dito su qualcuno in particolare per affermare che l'ipocrisia, l'inganno, la malignità (omettiamo il Maligno) albergano nei nidi delle colombe e rendono muti e instupiditi i piccoli volatili che nasceranno...Non vi erano "prime pietre" da esortare al lancio, per sentire l'acre odore di muffa che si nutre del bagnato di cortili dove il sole non entra mai o non lo si fa entrare  per far luce sul senso delle cose che ci sono attorno. Il senso nuovo, quello aggiunto, quello diverso, quello che "concede" scale normali alle persone normali, obbligando tutti, almeno per una volta sentirsi cattivi, brutti, ignorati, soli e con qualche handicap. "Solo l'amare, solo il conoscere conta, non l'aver amato, non l'aver conosciuto. Dà angoscia il vivere di un consumato amore" (Il Pianto della Scavatrice, Pier Paolo Pasolini, 1956). No, l'aula sparita, quella parte mancante, mozzata alla partecipazione ai lavori per un appuntamento dal parrucchiere, o cerusico -vista l'epoca-, od il vuoto pneumatico delle idee troppo impigrite da sempre;  quella che esalta il pudore misurato in centimetri e non in anima, era tarata su una frequenza di decibel che non sopporta i suoni di sotto, nè quelli di sopra...ma convive con quello eterno ed immutabile dello specchio dove guardare il mondo.
Ahi che dolore pensare che le paralisi non siano solo quelle più o meno “flaccide” che la neurologia prevede! Che vi sia una sorta di sorda paura, incapace di ascoltare anche se stessa e dunque chi ti parla davanti, racconta e vuol condividere. Certamente i crimini commessi da quell’uomo, tutt’altro che probo e caritatevole, che era Gilles de Rais, e lo spettacolo offerto dalla descrizione delle sette mogli trucidate di Barbablù dovevano di sicuro aver amplificato quel grande peccato che Dante canta e punisce in un girone assai severo: l’ignavia.
"A buon intenditor poche parole"- cantò qualcun altro. Un altro ancora: "non ho parole"!
Ed un terzo"... per questa sera, tiro giù il sipario".

mercoledì 27 ottobre 2010

Drammaterapia & Barbablù: riscrivere le storia

@ director

Ci permetta questa Corte e la pazienza degli onorevoli Giurati, di fornire degli argomenti che finalmente spazzino via dall’attuale contraddittorio, camuffamenti della accusatrice e di questa storia. Ci riferiamo alla storia di Barbablù, quella che ha condannato Rebecca ad un matrimonio infelice o dove –punti di vista diversi- l’attrice si è condannata da sola. L’una, viene detto, vittima del contesto e della cultura; Barbablù, opporremmo allora noi, vittima della propria follia.
Vogliamo però premettere a questo nostro ultimo intervento nel tribunale della coscienza di questa umanità, che qui si raccoglie per valutare e giudicare, che, lavorando all’interno del sistema Coscienza dell’Uomo, sia molto difficile, anzi impossibile, giungere a criteri di oggettività, figuriamoci poi di Verità! La coscienza è un processo in evoluzione, anche per quanto riguarda il rapporto uomo-donna, ma vorremmo dire maschio-femmina, e desideriamo ricorrere ad un principio solo apparentemente distante da quanto è oggetto di discussione oggi: il principio di Heisenberg.
Esso così recita: «Nell’ambito della realtà le cui connessioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi ad un completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere (all’interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso » ( W.Heisenberg, Indeterminazione e realtà, Napoli, Guida 1991, p.128). Andiamo a spiegare meglio: il principio postula che qualunque coppia di grandezze osservabili generiche, che non siano nella relazione di essere compatibili, non si potranno misurare simultaneamente, se non a prezzo di indeterminazioni l'una tanto più grande quant'è più piccola l'altra”. E dunque qualunque elemento della coppia che si ponga in qualità di “osservatore” non potrà che determinare con parzialità la posizione dell’altro, il suo momento angolare, il suo punto di vista diremo noi! Rebecca e Barbablù, dentro questa metafora, sono all’interno della stessa storia/Storia e, se guardiamo bene, entrambi vittime di quell’accadimento in progress che è l’evoluzione e la selezione naturale. Ma desideriamo illustrare meglio e senza mezze misure .
Guardiamo alle ultimo intervento di Rebecca. Ella ora ricorre alla voce esperta di un sedicente associazione di donne, Anna e le sue sorelle, che dovrebbero ricordarsi fondamentalmente di essere state, almeno nel passato:
a) “femmine”, capaci di selezionare “maschi”;
b) che avessero abbastanza testosterone da proporsi come vincenti;
4) nello “amplesso” che doveva assicurare solo la sopravvivenza e conseguentemente a ricasco l’evoluzione della specie (secondo fenomeni sintropici);
5) e che in questa discussione, se non riportiamo a garante l’evoluzione della coscienza nella storia biologica e culturale dell’essere umano, non andiamo più distanti dalla dinamica dell’Homo Abilis e della sua donna (certamente abile anch’essa)!

Giudicare questa difesa “Machilista”, come il coro dell’accusa vorrebbe sottintendere, significa mistificare il fatto che se è assolutamente criticabile il rogo alle Streghe, altrettanto ingiusti e di giustizia sommaria possono essere i linciaggi agli Orchi! Si dimentica forse che a difendere Barbablù è qui sia la storia che la sua insanità?
Conosciamo la “solidarietà” delle nostre donne; il loro chiacchiericcio, come le loro intuizioni scientifiche, i loro inganni ed i loro silenziosi sacrifici, ma sappiamo anche che Rebecca, indotta dalla cultura, dalla famiglia (qualunque causa esimente si invochi), contrasse un matrimonio di interesse e riuscì a rimanere vedova ricca di una unione scellerata! In questo caso al “rogo” fù il “mostro” e se la motivazione fosse da ricercare nella sua sete di “conoscenza”, non ci sentiamo molto distanti da osservare certa sapienza arrogante che destinava alle fiamme le fiammelle della coscienza nelle donne “rivoluzionarie” della nostra Storia! Si consideri ora quale sincretismo di paradossi offre la vicenda di Gilles de Rais, a cui Perrault si è ispirato: egli, condottiero valoroso che conta quasi più morti nella stanza segreta della sua torre che sul campo di battaglia ed eppure…eppure luogotenente ammirato (e chissà cosa altro…) dalla Pulzella d’Orleans, progenitrice certamente insieme ad molte altre silenziose, di un risveglio della coscienza umana, addormentata nel “sogno” della biologia e della cultura!
Barbablù, conceda questo eccellente consesso, non colse la potenziale “sensibilità” della propria sposa ad accogliere la propria mente malata? Può darsi, ma in questo caso era la sua stessa follia ad impedirglielo. Probabilmente un poco del coraggio di Giovanna D’Arco a soffiare dentro l’animo di Rebecca, avrebbe consigliato più saggio percorso alla donna.

Drammaterapia: Rebecca contro le amputazioni della Storia e di Barbablù

Piccola Narratrice, Blue Beard, Atelier Drammaterapia, 2006

Onorevoli Signori della Corte,
da questo momento la difesa di Rebecca sarà assunta dall'Associazione “Anna e le sue sorelle” perchè troppo impari è apparso il dibattimento sul comportamento dell'imputata.
Si sappia subito che la voce tonante con cui il la Difesa di Barbablù espone e argomenta i capi di accusa e le citazioni con cui egli rinforza le proprie tesi non intimidiscono punto Rebecca; ma è parso giusto a noi, per par condicio, fornire all'imputata le armi dialettiche di cui ella, per giovane età, per grado di istruzione e condizione sociale di provenienza, non dispone.
Permettete di presentarci: siamo una Associazione femminile che fornisce voce e muscoli a tutte le donne che, nel tempo e nello spazio, soffrirono e soffrono per l'arroganza di un sistema che non permette loro di esercitare persino i più elementari diritti dell'essere umano. Non abbiamo paura di essere chiamate “femministe” o “streghe” con disprezzo o derisione. Abbiamo vestito gonnellone a fiori e zoccoli olandesi quando ce ne fu bisogno per scardinare un mondo che poneva la sottomissione femminile al sommo di tutte le virtù.Tante di noi finirono con ignominia su roghi, reali e virtuali, accesi dal potere per contrastare il diritto di ogni donna a essere ciò che desiderava: guerriera, mistica, scienziata.
Oggi, con la forza della sorellanza, assumiamo la difesa di Rebecca e non sottovalutino, gli Onorevoli Giurati e il Pubblico Ministero, questa indomabile energia che lega tutte noi. Con questa arma, gentile e implacabile come il fioretto, un invisibile (ai vostri occhi) esercito di donne sopravvive ogni giorno, nelle parti più remote e dimenticate del Pianeta. Ci parliamo senza parole perchè il nostro ventre ci suggerisce la sofferenza e la gioia di una sorella, perchè le nostre mani sono abituate a stringersi tra loro e a comunicare con un fremito quasi impercettibile la più sottile delle sensazioni, il più inesplicabile dei disagi. E dunque ci portiamo mutuo aiuto nelle prove più dure. Vi piaccia continuare a pensarci intente a parlare per ore sul niente, a farci una guerra sotterranea, ma sono molte di più le parole che non ci diciamo perchè superflue e le guerre che abbiamo scongiurato.
Tralasciamo di commentare l'incongruenza di fondo delle accuse formulate a Rebecca. Se il matrimonio tra i due era stato pensato come un accordo commerciale, se la gioventù dell'accusata era la moneta di scambio per il benessere e la sicurezza concessa, perchè chiedere anche il sentimento? Il Barbablù dovrebbe rispondere delle sue azioni anche di fronte a un tribunale civile, per mancato rispetto dei termini contrattuali.
Affrontiamo allora, senza più preamboli, il nocciolo della questione.
Ricordino, soprattutto i signori giurati uomini, che in ogni bambina vi è una donna e non il contrario.
Anche la più giovane, la più inesperta , la più povera e affamata delle Rebecche è una Donna, intesa come essere umano , di sesso femminile, adulta, consapevole dei propri desideri, con la dignità e il diritto al rispetto altrui e all'autodeterminazione.E invece a Barbablu e ai suoi accoliti piace vederci eterne bambine, da guidare, censurare, mettere alla prova!
“Brava Rebecca, perchè hai obbedito agli ordini” “Cattiva Rebecca, hai disobbedito e meriti una punizione esemplare per farti ricordarti sempre chi è il padrone, per evitare che tu prenda una cattiva strada, perchè solo io, tuo signore e padrone, conosco ciò che è giusto per te”.
Dove sta, signori giurati, l'atto di fiducia di cui parla il Pubblico Ministero? Ti consegno le chiavi del castello e tu puoi entrare ovunque eccetto che in una delle stanze (e stiamo a vedere se ubbidisci?)
E' una fiducia sub condicione questa!
La vera fiducia sarebbe stata quella di consegnare a Rebecca le chiavi del castello senza alcuna proibizione, con il coraggio di affrontare gli occhi della propria donna dopo che avessero visto l'orrore e la tenebra di quello stanzino. Come un vero innamorato, le avrebbe consegnato metaforicamente tutto il proprio essere, fatto di luci e di ombre. Ombre non peggiori di quelle dell'animo di qualunque altro umano. Forse Rebecca sarebbe fuggita da lui, dopo la scoperta, come verrebbe immediato pensare.
O forse forse.. sarebbe rimasta al suo fianco, per capire, accettare, correggere o chissà cosa altro. Quante donne rimasero fino all'ora estrema insieme al proprio uomo, per quanto scellerata fosse stata la vita del loro compagno? Rivendichiamo per Rebecca anche il diritto di essere complice, colpevole, co-imputata nel processo a Gilles de Rais, se questa fosse stata la sua scelta.
Invece, eccola lì , accusata del peggior reato che una donna possa commettere agli occhi di un uomo: la sete di conoscenza!
A onor del vero, si trova in buona compagnia: lo stesso peccato fu commesso da Eva nella notte dei tempi e sappiamo bene quali furono le conseguenze. Anche per lei le cose furono poste negli stessi termini, in fondo.
E Pandora che aprì il vaso contenente tutti i mali? Cattiva bambina anche lei... scusate l'ironia.
L'ingiustizia somma, l'ingiuria, la beffa peggiore sta nei termini dell'accusa. Addirittura non si riconosce nelle azioni di Rebecca neppure la grandezza , la nobiltà della pulsione a sapere, a conoscere. In lei e in tutte le altre donne, si parla di “curiosità” . Curiosità , capite? Una cosa da comari, una ficcare il naso dove non si deve, un ricondurre il tutto a una banale, ridicola, patetica azione da bimbetta, per l'appunto.
Chi porterebbe Ulisse davanti a questo tribunale con questa accusa? Nessuno, signori, poiché a lui si imputa e al tempo stesso si perdona, la “sete di conoscenza”, la nobile pulsione dell'animo che porta al progresso del genere umano. E allora ricordate che è un peccato, un affronto allo spirito, rispettare il divieto di una porta da non aprire, un frutto da non mangiare, un vaso da non aprire.
Chiediamo quindi l'assoluzione con formula piena dell'imputata poiché le accuse sono viziate da un grave pregiudizio di base.
E ci sia permesso ancora dire che, mentre auspichiamo un mondo dove tutte le Rebecche possano essere amate senza bisogno di esami da superare e possano sentirsi in diritto di aprire tutte le porte, rivolgiamo un pensiero di commiserazione a Barbablù che, mosso dal desiderio di sentirsi amato, comunque ha commesso un così grave errore di valutazione della reale sensibilità della sua sposa.

martedì 26 ottobre 2010

Drammaterapia: Barbablù e la prova d'amore.

Narratore e Directo, Blue Beard,
Atelier Drammaterapia, 2006
Con estremo rispetto di questa Corte e del Pubblico Ministero, debbo dire che assai scarsa di contenuto e soprattutto convinzione appare l 'autodifesa di Rebecca. Veniamo a quanto ella ci dice...sul tempo, quello suo, che non era quello che canta Alda Merini...
 "Non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue...",
nè quello pieno di passione, forse "intellettuale" ci dice Rebecca  (sic!), che recita Shakespeare:
Non mangia che colombe l'amore, e ciò genera sangue caldo, e il sangue caldo genera caldi pensieri e i caldi pensieri generano calde azioni, e le calde azioni sono l'amore.
Siamo d'accordo! Si conceda che i "tempi" della nostra storia non diano spazio all'idealità dell'amore ed ai colori della passione; che l'esigenza di un "buon partito" sia migliore a sfamare i bisogni di una giovine donna della contrada, piuttosto che l'amore puro del compagno dell'orto. Ma poi, dobbiamo ammettere, quali ragioni etiche suggerirono a Rebecca di innamorarsi "artificialmente" di Barbablu? In quale cuore bugiardo nacque la scellerata intenzione di rompere un patto accettato e contratto: non aprire quella porta?
Non vi è dubbio che la grave condizione che Barbablù poneva alla altrui fiducia, la spietata prova -sia pure essa celasse il suo amore puro e sincero- non appartiene alla convenzione dei rapporti in una coppia, ma altresì è vero che, a quei "tempi", la donna era più proprietà del suo Signore, che partecipe compagna. Eppure egli, Barbablù, in un disperato gesto, spogliava se stesso di ogni potere (le chiavi), chiedendo a lei di decidere se fare di lui un uomo felice o il disperato che sentiva di essere da sempre? Riusciremo a leggere tanto amore in tanta follia?
  

Sappiamo cosa obietterà il Pubblico Ministero. Lì, anche se luogo maledetto, nessun codice di guerra o legge marziale  a punire chi oltrepassa un confine, ne siamo consapevoli. Sappiamo di non trovarci in un tribunale di guerra e nemmeno ordinario, illustri giurati, poichè il solo tribunale che conta è la nostra coscienza. Se di diritti e doveri infranti dovessimo discutere, ancor prima dovremmo concordare sul fatto che il reato, nella fattispecie, non fu mai commesso e che fu una morte prematura a fermare il gesto scellerato di Barbablù. Ma la nostra coscienza  e quella di Rebecca è insieme luogo dei fatti e luogo del giudizio. Insana, profondamente "malata" la condotta di Barbablù (che fosse colpa della sua Barba o quella prendesse colore a causa della malattia della mente è cosa che lasciamo i genetisti); egli che chiede prove supreme e regala punizioni cruente, totali, la morte. Ma l'amore, o meglio la sua mancanza, ha reso folle quest'uomo.
Potrà anche Rebecca appellarsi a qualche stravagante follia per giustificare il fatto che nel sentimento verso il proprio signore vi fossero opzioni nascoste, da scoprire nel sicuro della sua assenza e dopo giuramento? Barbablù, ad onta del proprio aspetto, non aveva dato segni di malvagita nel tempo prima (che gli altri sapessero) e la fiaba lo dice...desiderava rendere felice in tutto la sua sposa: onesto sin dall'inizio. Ma questa, per essere tale, doveva mostrarlo. Quanto Barbablù chiede non giusto, come è invece comprensibile (derivabile) nella psicodinamica di una mente sofferente. Non disse Ovido: "Voglio se posso odiarti e se non posso per sempre amarti"?  E Lamarque non descrisse l'amore nel bisticcio misterioso tra possesso e libertà: "Con un filo d'oro la vorrei legare a me. Poi, come prova d'amore, la vorrei per sempre liberare"?
Non vogliate leggere sarcasmo nelle mie parole, ma dovremmo forse dire, paradossalmente, che proprio quella follia regalasse a Barbablù la profondità di un sentimento che in Rebecca era l'affetto addomesticato di una donna solo "curiosa"?

Drammaterapia, la moglie di Barbablù è una fedigrafa o un'eroina?!

Rebecca in Blue Beard, Riduzione Drammaterapica dalla favola
 di J. Perrault, di E. Gioacchini
@ Blue

Rebecca: "Il matrimonio d'amore è una invenzione del ventesimo secolo, un lusso degli intellettuali e degli artisti scapestrati.
Un tetto solido, tre pasti al giorno, abiti per ripararsi, legna e carbone per l'inverno, una dispensa sempre piena, in barba a carestia e male annate, sono argomenti assai convincenti per spingere una povera ragazza del contado a sposare il fosco signore del castello.
Come si può vagheggiare un sentimento di cui ho soltanto sentito parlare nelle ballate popolari, di fronte alla certezza della sopravvivenza, non solo mia, ma della mia intera famiglia? Nella contrada, molti bambini non superano i primi cinque inverni di vita; il lavoro dei campi e delle botteghe non serve a nulla se le piogge, la guerra, la siccità o la peste arrivano all'improvviso.
Vorrei ricordare ai signori della corte che la scelta di sposare il Barbablu non è stata poi così sofferta da parte mia: certo una iniziale ripugnanza verso il mio futuro sposo potrei averla provata, ma consideriamola come un pudore di adolescente verso la vita coniugale, che si sarebbe manifestato comunque, verso qualunque particolarità fisica di qualunque altro uomo.
Non so se posso dire di essere stata felice di sposare Barbablu, ma di sicuro non sono stata infelice nel farlo.
Vorrei che gli onorevoli signori della corte tenessero presente questo aspetto del mio matrimonio, nel valutare i fatti".

lunedì 25 ottobre 2010

Drammaterapia: la Potenza della Virtualità

"Bottle" by Kirsten Lepore (Official video)
"Animated on location at a beach, in snow, and underwater, this stop-motion short details a transoceanic conversation between two characters via objects in a bottle". Thanks to K. Lepore



Bottle from Kirsten Lepore on Vimeo.

Drammaterapia: Barbablù in dramaterapia

Rebecca in "Blue Beard", Riduzione Drammaterapica dalla fiaba
 di J. Perrault, di E. Gioacchini. dicembre 2006.
Rebecca è Francesca Marinelli
A proposito di quali possibili elementi e come lavorino in Barbablù, uno spunto di riflessione alle “Rebecche” ed agli "assassini seriali" dalla barba più o meno colorata!
Rebecca, non abbiamo dubbi, avrà usato tutta la sua arte di “seduzione” femminile per attrarre il principe ricco e potente e divenirne sua sposa tra tante, oppure no? La fiaba racconta come Barbablù fosse stato rifiutato da molte fanciulle a causa del suo aspetto certamente non “handsome” e che Rebecca, la più piccole delle due figlie della vedova, si convincesse a sposarlo, decidendo che poi il Signore non fosse tanto orribile. Ma in questo caso perché? Ricco e potente ed il vantaggio di un matrimonio così interessante (ovvero interessato) poteva far superare qualsiasi ripugnanza e ribrezzo…persino la barba poteva non apparire più così intensamente blù: “… la sposina si sentì molto orgogliosa quando poté mostrare alle sue amiche il meraviglioso palazzo dove abitava.
Azzardiamo a dire: Barbablù nel gioco di “vendere” tutto quello che possedeva alla propria sposa, purchè lei accettasse tutto quello che era…forse doveva esservi un limite! Prendiamo la difesa del Principe in un tribunale virtuale, accettiamo il suo mandato e troviamo delle cause “diminuenti” il tentato omicidio, tralasciando il fatto che egli, il principe, non può più essere giudicato, perché il reato non ebbe compimento per intervenuto decesso dell’attore stesso. Nella dinamica seduttiva dell’amore che, in un certo qual modo, si prostituisce alla potenza ed alla ricchezza, potremmo concepire che Barbablù volesse una prova di amore autentico dalla propria donna?
Che dietro la proibizione di varcare la soglia di quell’uscio maledetto, vi fosse la ricerca disperata di un cuore che anelava essere corrisposto in amore sincero? Perché in questo caso Rebecca sincera non fu. Anzi, se avesse potuto (Ahi…"se solo avesse potuto tornare indietro", recita la drammaturgia, oppure pulire quella chiave macchiata dell’infrazione!), avrebbe ingannato e forse..continuato ad ingannare per sempre quel sognatore. Barbablù, è vero già omicida seriale -lo sappiamo- che desiderava essere amato per quanto era e non per le proprie ricchezze. E inoltre -notiamo bene- alle ricchezze materiali del Principe, alla sua grande potenza, quale ricchezza personale pone Rebecca?
La sua “curiosità”, eccellentissima corte!  Il Principe, davvero interessato alla felicità della sposa, la invita a disporre di tutto, di quel tutto che, lo tenga a mente questa giuria, costituisce l’unico motivo che fece contrarre quello scellerato matrimonio:

“Tuttavia desiderava che nel frattempo lei si divertisse con le sue amiche, e le invitasse a palazzo. Ti lascio le chiavi di tutte le porte, di tutti i forzieri, di tutti gli armadi - disse togliendo di tasca un tintinnante mazzo di chiavi. … Adopera come vuoi il servizio di vasellami e le posate d'oro e d'argento; fruga nei ripostigli, saccheggia la dispensa. Ma per nessun motivo al mondo dovrai aprire la porticina che si trova in fondo alla galleria e che si apre con questa chiavetta d'oro. Guai a te se entrerai in quello stanzino: dovrai pentirtene amaramente! Così dicendo, consegnò il mazzo di chiavi alla moglie".

Ed invece il tradimento si consuma nel tentativo maldestro di sotterfugio della donna! Se la ragione dell’estrema prova da parte del Principe è stata qui discussa, chiediamoci poi se Rebecca avrebbe potuto fare altrimenti dal tentare l’inganno. Barbablù non ha attirato in un trabocchetto la sua sposa, eccellenti giurati! Non ha spiato le sue mosse, ma fiducioso ha consegnato a Rebecca anche la chiave del suo segreto. E se segreto non fosse stato non avrebbe avuto bisogno di essere celato! Il proprio limite, la propria paura di essere tradito, che vuole dire “accettato” e lì, aperta, chiara, persino sonante nel rumore della chiave tra le altre di quello sfarzoso castello che egli mette a disposizione della donna. E Rebecca, avidamente, come avido è stato il suo matrimonio, cerca un modo di comprendere che non abbia rischi: di nascosto!. Non parla al suo sposo, non si oppone, non rigetta decorosa quella sfida, quel limite tuttavia al loro rapporto e vigliaccamente preferisce la strada dell’inganno.Guardò la chiavicina maledetta e vide che era sporca di sangue.
"Subito cercò di asciugarla e di pulirla, ma non vi riuscì. La chiave era fatata, e le macchie di sangue cancellate da una parte, ricomparivano da un'altra. Atterrita, pensava di fuggire dal palazzo, ma proprio quella notte Barbablù vi fece ritorno. La sposina simulò di accoglierlo lietamente, ma in cuor suo si sentiva morire per la paura".

E certo che quella "chiavicina" sporca del proprio "peccato", quale elemento magico della fiaba, ha un rimando importante al senso di colpa che la donna dovette avvertire, perchè la scena del crimine può essere cambiata, ma il senso di colpa uno, signori giurati, se lo porta dentro! Nella povera folle mente di Barbablù il delitto è già consumato, prima che egli la possa uccidere, come ha fatto con le altre e non gli rimane che annullare l’ignominia del tradimento, sottraendo la sposa alla stessa vita, alla testimonianza dolorosa dei propri occhi. Reset totale che cancella peccatore e delitto insieme. Non stiamo qui difendendo la volontà di uccidere di questo uomo, ma cercando di spiegare cosa lo spinse molte volte a farsi reo di tanta strage. Se Gilles de Rais uccideva le sue giovani vittime, bambini, quale olocausto al proprio peccato, nella ricerca di quella perfezione che l’immolava a sacrificio ed intercessione per i suoi stessi crimini, facendone dei “santi” e “martiri”, ben ha inteso Perrault nel delineare Barbablù prima vittima di se stesso, prima ancora che di una famiglia (quella della sposa) giunta, provvidamente in soccorso della scempiaggine del proprio parente.
Barbablù è morto, ma crediamo che questo non sia la sola uccisione del testo. Egli non era in grado di “condividere” perché, recita il testo, le donne si sottraevano a lui per la sua bruttezza e tuttavia egli cercava disperatamente e follemente -lo abbiamo detto- di essere amato; che il suo modo di sentirsi amato dovesse essere troppo xompensatorio, assoluto, non v'è dubbio. Ma uccisa, ancora prima è stata la coscienza di un “patto”, di un “dono”, la reciproca consapevolezza che qualsiasi unione non significa “totale fusione”, né tantomeno “furto” nella casa-anima di un altro. Spero che l’eccellentissima Corte ed i Giurati tengano conto di quanto esposto. La Difesa.

« Siamo attesi? Credevo fossimo a Napoli... » Totò in "Le sei mogli di Barbablù"

 


Video: dal film, Le Sei Mogli di Barbablù, 1950 (tratto da theASFRfan)
Regia: Carlo Ludovico Bragaglia, Soggetto: L. Brenno, B. Caravagni, Sceneggiatura: F. M. Ricci, B. Caravagni,
Fotografia: Mario Albertelli, Scenografia : Alberto Boccianti, Musica: Pippo Barzizza, Montaggio: Renato Cinquini
Aiuto regia: Roberto Cinquini, Direttore produzione: Romolo Laurenti, Produzione: Golden Film, Durata: 87minuti.
Interpreti e personaggi:
Totò (Totò Esposito / Nick Parker), Isa Barzizza (Lana Ross), Mario Castellani (Amilcare Marchetti), Tino Buazzelli (l'editore Ladislao Zichetti / Barbablù), Carlo Ninchi (il vero Nick Parker), Luigi Pavese(Lucas, capo dell'Interpol), Marcella Rovena (Carmela), Aldo Bufi Landi (Patson), Eduardo Passarelli (l'impresario di pompe funebri), Erminio Spalla (l'autista), Silvia Fazi (Domenica), Franco Jamonte (Pecorino), Enzo Garinei (un paesano), Anna Di Lorenzo (la cameriera), Sofia Lazzaro (Sophia Loren, una moglie di Barbablù), Giovanna Ralli (una moglie di Barbablù), Nino Marchesini (l'ispettore di polizia).

domenica 24 ottobre 2010

Drammaterapia e le molte anime del Teatro


Due imput utili nell’attuale preparazione della piece dramma terapica di Barbablù, ma che riepilogano anche qualche concetto funzionale al Creative Drama & In-Out Theatre.

Partiamo da quanto avete avuto modo di ridiscutere su teatro di Grotowsky nell’ultimo esame svolto. Attore denudato dalle sovrastrutture tipiche delle finzione teatrale; che si offre nel sacrificio della “rappresentazione”, nello speciale sacerdozio ”laico”, dove apparirà vestito unicamente della propria autenticità, nel rapporto sacro con lo spettatore; atto responsabilizzante, perché non è mai facile spogliarsi e qui, se lo si fa, si deve essere consapevoli di quali abiti prestati dal copione si hanno indosso.
Arriviamo alla drammaterapia, dove la “nudità” assume una valenza ancora differente: l’interprete può arrivare a quella attraverso il passaggio in panni differenti, nella ricerca sempre rischiosa di un equilibrio che non esiste, ma è funzionale alla scoperta di cosa non si è e può essere ancora: la risorsa. Attore e personaggio nel dialogo silenzioso od espresso, intellegibile od incoscio, tra le diverse polarità di sentimenti, reazioni e pensieri; catarsi nel superamento del “chiasso” nevrotico del conflitto, per la riassunzione di posizioni responsabili, consapevoli di quanto sta avvenendo, è avvenuto e, probabilmente, avverrà…
E poi il teatro drammaterapico; passaggio ulteriore in avanti, che sposta il processo drammaterapico a lavorare anche sulla performance finale, in quella situazione che recupera “vero” l’altro, nel pubblico e che denuda ulteriormente rispetto a se stessi. Ecco, in questa condizione privilegiata, dove contenitore interno ed esterno –come mi penso, come appaio- assumono la caratteristica di essere una “osmosi” rappresentata, la responsabilità è ancora più grande. Se non si sarà fatto lavorare bene il processo della drammaterapia lungo tutti i laboratori, le scorie pesanti dei nostri pensieri e fantasie investiranno, vischiosi o peggio “neutrali”, lo spettatore; il rumore del conflitto rischierà di investire chi ti ascolta, portando fuori nel testo la privatezza dei propri arresti, della paura, del dubbio che si cela dietro il desiderio di vivere. Non puoi contare, qui, che lo spettatore si "salvi" dandoti del "cattivo" attore.

sabato 23 ottobre 2010

Dramatherapy, Examination unmasks Theatre



Foto:  da Teatro Emozionale,  Fenice82' Performance,17.10.10

mercoledì 20 ottobre 2010

Dramatherapy through Dramatherapy

How drama works through a special examination!



L'esame truccato, gli studenti che tremano come pulcini veri ed i professori a giocare con le proprie umorali lune in cerca della vittima predesignata. Abbiamo omesso di editare le scene più cruente, quelle di sangue e lasciato solo quelle ...esangui, per il piacere dello spettacolo. Anche quello esige il suo prezzo! Ma intanto, più profondamente, tutti, allievi e professori, a fare il proprio esame più distante da quelle sedie e da quelle domande. La macchina da presa si è inceppata e così qualche studente è stato tagliato dalle riprese, risparmiato al ludibrio del mondo. Ma abbiamo in riserbo una serie fotografica che immortala il vostro saggio di danza...e lì, credetemi, c'è poco da truccare! Esito? Tutti promossi

Drammaterapia: l'In & Out dentro all'esame


@ Sole

Avevo dimenticato la preoccupazione che ti prende nell’affrontare un esame dinanzi ad un pubblico, di sentirsi giudicati per le proprie conoscenze, di non essere all’altezza e sentire il peso di un giudizio che mina la tue poche certezze. E la sudditanza di un allievo di fronte al suo Maestro, che dall’alto della sua saggezza decreta l’esito di un esame, per poi scoprire che quella prova non era stata poi così difficile. Ma chi può dire se il nostro insegnante, si è trovato a suo agio nel giudicare il nostro impegno senza avere dei dubbi? Ognuno ha il suo ruolo, ma ogni esame è un doppio esame che ci mette tutti alla prova, gli uni di fronte agli altri in un gioco di specchi,  per vedere  riflesse le nostre stesse  difficoltà. E’ importante trovare il coraggio di aprire una porta segreta, per non negare la nostra natura e i nostri sogni, assopiti dall’agiatezza di un incontro che ci preserva dai rischi  e dalle delusioni, per scoprirci più veri e più audaci.

martedì 19 ottobre 2010

Drammaterapia ed il prezzo della Libertà



@ Libertà

Come spesso mi succede nella vita, la realtà è meno brutta di quello che immagino: quello che doveva essere un'esame, è stata invece una giornata positiva e piacevole nel complesso. Chiedo scusa al gruppo, per la veemenza del mia èrestazione, non era mia intenzione. Sicuramente, il mio modo è errato, ma proprio perchè nasce da dentro, subisce, lo stato d'animo di questo momento personale, che non è dei migliori. Proprio nei momenti difficili, bisogn aessere in grado di gestire le situazioni e non ricadere, nei giochi della mente che distorcono la realtà. Anche se doloroso, l'appunto del Director nei miei confronti, mi ha dato la possibilità di fare tra me e me tutte queste considerazioni, che in fondo fanno parte di questo cammino. Che dire della piece che andiamo a mettere in scena? Barbablù , non poteva non essere quello che è stato. Gli eventi della sua vita, segnata da violenza, morte e piacere attraverso tutto questo, l'ha portato a cercare il piacere attraverso eventi cruenti. Rebecca, che si piega al volere della famiglia, accettando un matrimonio non d'amore, ma di interesse, ha un risveglio di coscienza, simboleggiata da una chiave, che è insieme punizione, di una porta che non si dovrebbe aprire a stare "agli ordini". Accetta il compromesso esterno della famiglia, ma non accetta il compromesso con l'amore. Penso, che questo, sia l'unico modo, che possa salvare Rebecca, che simboleggia noi umani.

Drammaterapia nella drammaterapia come teatro nel teatro



@ Nero
Vera o immaginata: storia di un incontro
sottotesto: quando l'esame è dislocato in altri posti da quello della sedia dove siamo seduti

Ad una situazione di vita quotidiana, vissuta più volte o del tutto nuova, ognuno attribuisce importanza più o meno grande. Ad una situazione di pericolo ognuno reagisce facendo leva sulle proprie forze, risorse, conoscenze ed esperienze. Ad una prova di esame, importante o meno che sia, tutti hanno la preoccupazione di superarlo in maniera eccellente, quantomeno accettabile.
In tutti i casi, guardando dall’esterno situazioni diverse che fanno parte della vita di ognuno, balzano agli occhi fatti innegabili; gran parte del risultato, come vivremo, come ce la caveremo, dipende solo dalla nostra capacità di modularci in maniera equilibrata e responsabile alla situazione.
Quello che abbiamo vissuto ieri, era un esame vero o solo immaginato? E se da quell’esame fosse dipeso il nostro futuro, saremmo stati in grado di sopportare l’impegno e l’ansia data dall’importanza di tale evento? Sinceramente non so rispondere. Posso dire che ce l’avrei messa tutta… Ma sarebbe stato sufficiente?
Quante prove la vita ci pone di fronte, e quanta vita lasciamo passare eludendo le difficoltà, barcamenandoci tra un problema ed un altro, tra situazioni pratiche o emotive che non abbiamo il coraggio di prendere in mano? Quanti incontri sono stati importanti, o fondamentali per il nostro futuro, e non abbiamo avuto la capacità di sfruttare l’occasione? Quanti treni abbiamo lasciato passare?
Un giorno ho incontrato il teatro, -non un luogo, non una persona, ma un modo di esprimersi-, un teatro molto particolare, che, a volerlo ascoltare, parla al tuo inconscio, va ad aprire catenacci arrugginiti e dimenticati che non si aprirebbero con l’uso della forza, anzi…
E un po’ per curiosità, un po’ perché avevo detto ad uno che mi conosce bene che avrei fatto il mio dovere, ho continuato ad infilarmi in questa situazione, lasciando che la sofferenza si facesse grande, lottando con il raziocinio che mi dava mille motivi per mollare (forse perché è una parola che odio non l’ho fatto), ascoltando il dolore che affiorava, alleggerendo i pesi del passato.
Tra alti e bassi, smarrimento e gioia, gruppo e solitudine, autonomia e condivisione, in un guazzabuglio di emozioni, gioie, amarezze… Il mio cammino continua…
E forse nemmeno ricordo bene perché avevo così paura di continuare, di esserci, di partecipare, ma ricordo perfettamente che era vera e tangibile, come era vero l’esame di ieri.
Poi uno mi ha detto: “Guarda che è tutto un gioco, è tutto messo in scena per farti crescere, per farti capire che le paure sono solo immaginarie e le difficoltà sono quelle che noi vogliamo vedere a tutti i costi…”
Ma vuoi vedere che ‘sto tizio c’ha ragione!!!

lunedì 18 ottobre 2010

Drammaterapia & Storytelling, 2010

Atelier Drammaterapia per le Risorse 2010-2011
Director, E. Gioacchini

sabato 16 ottobre 2010

Drammaterapia, Lui Lei Forse Sempre

Piece Drammaterapica scritta e diretta da E. Gioacchini - Giugno 2010
Prima lettura e prova senza studio
Attori, M. Pina Egidi, Gianni De Angelis

giovedì 14 ottobre 2010

Drammaterapia & la Storia al Femminile

@ Bleu

Anch'io ho un punto di forza: Zeus! Devo spiegarlo? Io sola tra i celesti conosco il segreto del forziere che cela sotto chiave la saetta. Ma la saetta non serve…… Poni accanto alla mia la tua dimora. Godrai il fiore di questa grande terra: offerte votive per sposalizi e nascite. Allora, sempre tu loderai il mio consiglio” (La Dea Athena, Eumenidi, Eschilo)
Come i cantori greci, anche io invoco il favore di una divinità nella trattazione di temi grande come l’universo. Il bene e il male, il femminile e il maschile, l’ombra e la luce e noi, povere scimmie nude, intrappolati tra essi.
Associo il mio richiamo ad Athena, quando è ricordata come dea della conoscenza, della giustizia, delle arti e dell’artigianato. La dea guerriera della strategia, ma che conosce il perdono poiché dona il suo voto all’accusato quando i giurati sono in parità nel verdetto. (chissà cosa avrebbe fatto nel processo a Gilles de Rais). L’altra faccia del femminile che racchiude elementi maschili, e ne compie la sintesi (forse).
La Storia, caro Nero, l’hanno scritta gli uomini, non le donne. Perdona la generalizzazione, ma è così. Per non cadere nella valutazione di genere, troppo semplicistica, posso dire che le vicende storiche sono state studiate e illustrate con qualità legate alla componente virile: la potenza, la forza, la conquista, l’esplorazione di nuovi territori, la sottomissione sono state esaltate e poche volte osservate con spirito critico.
Ulisse, l’astuto che fa cadere Troia, Enea, il fondatore della stirpe dei Cesari, Napoleone e Alessandro, gli inquisitori che mandarono al rogo le più belle menti a loro contemporanee e salirono comunque all’onore degli altari… un elenco così lungo da far paura.
La letteratura esalta i cantori di imprese eroiche ed è più semplice ricordarsi di Omero che della poetessa Saffo e della sua delicatezza (Ho una bella figlia, l’amata Cleide, che ha l’aspetto simile a fiori d’or).
Eppure, a dispetto di storici e di storiografi, esiste un’altra storia, quelle delle donne.
Che non furono solo madri piangenti, streghe sul rogo, pulzelle d’Orleans e monache di Monza, sante vergini e martiri, condannate dal loro destino biologico al ripudio, al disprezzo, alla castità più umiliante , se sterili o incapaci di generare figli maschi.
Vi furono donne fiere, colte, intelligenti, capaci di affetto e di amore, votate alla pace, ma non deboli nè vittime, che tracciarono e percorsero le strade del progresso che oggi ci sforziamo di individuare.
Proviamo a ricordare i libri di storia: quante righe dedicate all’opera di mecenati donne e quanti paragrafi dedicati alle conquiste di Cortès e Pizarro?
“La pace delle due dame”, Madame Curie, scienziata due volte Nobel, Maria Montessori, ovvero il coraggio di una grande idea, Maria Gaetana Agnesi e la versiera, Madame de Staël e il suo salotto culturale, quanto sono bistrattate nei percorsi formativi e scolastici di base o negli approfondimenti culturali individuali!
(Volutamente, non fornisco links o referenze, perché questo è un invito a stimolare curiosità e voglia di sapere che meritano un momento di energia in più)
Eppure queste donne ci parlano di un altro tipo di lotta, senza armi, condotta con la forza, ma non con la violenza.
Gilles de Rais
Ci raccontano che se, come vuole Konrad Lorenz, esiste il male ed è necessario perché legato alla nostra condizione di Homo sapiens, allora esiste anche la contropartita: lo spirito critico, il desiderio di pace e benessere, la capacità di amare e di soffrire, e soprattutto di RIDERE, dietro altri stimoli che non siano la sopravvivenza della specie.
Gli animali, come ho avuto spesso occasione di scrivere, non covano vendetta, usano l’aggressività in maniera funzionale alla sopravvivenza propria e della prole.
Non così gli uomini e lo sappiamo, nessuno si senta escluso. La Bestia, quella biblica, è in noi, dorme nelle pieghe della coscienza, alza la testa quando ve ne sono le condizioni. Basta una zanzara molesta, gonfia del sangue succhiatoci, ma stupida e là…. con una prosaica ciabatta (che è l’equivalente di un bazooka) la inchiodiamo al muro, sul pavimento, e poi la contempliamo con compiacimento!! Quanta soddisfazione nello schiacciare quel piccolo simulacro di nemico che si è preso una infinitesimale parte del nostro sangue, lasciandoci un ponfo più piccolo di una moneta da cinque centesimi! Lo fa persino il Dalai Lama.
Ma esiste anche altro in noi e lo raccontano la storia della pace, della cultura, della terra, dell’amore. Una storia diversa se raccontata al femminile, o secondo una visione improntata alle qualità che si associano ad esse. Ho rivalutato assai l’odiato Manzoni del Liceo rileggendo il “Cinque Maggio”, perdendomi nelle sue riflessioni sulla sofferenza finale di Napoleone, confinato su uno scoglio nell’Oceano, e nella morte vicino alla redenzione.
Nella nostra cultura, anche quella legata alla tradizione cattolica, sappiamo di avere il libero arbitrio, cioè la capacità di scegliere tra Bene e Male, ispirati ora dalla religione, ora dalla la filosofia, dall’ideologia o finanche dalla scienza.
A questo punto, viene da chiedersi: vale la pena scegliere il bene? E perché farlo, se il Male è necessario, visto che persino la Bibbia vuole che “Nessuno tocchi Caino”?
E cosa siamo noi, che portiamo nella coscienza il germe di Landru e il desiderio dei cori angelici? Cosa
Lo descrive bene Albert Camus ne “La Peste” :
"So soltanto che bisogna fare quello che occorre per non essere più un appestato, e che questo soltanto ci può far sperare nella pace, o, al suo posto, in una buona morte. Questo può dar sollievo agli uomini e, se non salvarli, almeno fargli il minor male possibile e persino, talvolta, un po' di bene. Dopo un silenzio il dottore domandò se Tarrou avesse un'idea della strada da prendere per arrivare alla pace. "Sì, la simpatia". […] "Se si può essere un santo senza Dio, è il solo problema concreto che io oggi conosca".

L'Amore cura: drammaterapia, navigando sugli affetti della Storia


@ Nero

Nel passato di ognuno di noi ci sono ricordi più o meno vivi dei periodi scolastici trascorsi a studiare la storia, una storia che fotografando più o meno verosimilmente il percorso del genere umano sul pianeta, rende chiaro il comportamento degli esseri umani, la loro provenienza e la loro evoluzione, ma cerca soprattutto di prevedere l’evoluzione futura della società, anzi dovremmo dire delle varie società. (Sono evidenti le differenze tra le società industrializzate e moderne tipo la nostra, e quelle meno evolute tecnologicamente e culturalmente di alcuni Paesi).
La storia ci fornisce spunti di riflessione su gesti eroici, grandi condottieri, esploratori, artisti, ecc… Ma soprattutto ci parla di guerre…
Guerre per conquistare, dominare, sottomettere, depredare altri popoli, guerre di religione, stermini di massa, e… Re, Imperatori, Papi e Nobili di ogni risma. Che il colore dei loro abiti fosse il purpureo ecclesiale o il bianco nobiliare, il nero del conquistatore o lo scintillio delle cavalleresche spade, la sostanza è sempre stata la stessa. Pochi privilegiati hanno avuto in mano le sorti di una moltitudine infinita di esseri umani.
E siccome la storia la scrivono i vincitori, difficilmente parlerà dell’odio profondo che spinge gli uni contro gli altri, difficilmente parlerà degli innocenti uccisi, di interi popoli sterminati, di crimini e torture indicibili, di interessi economici e paranoica sete di potere… Tutto verrà raccontato evitando gli episodi più cruenti, favoleggiando sull’uno o sull’altro eroe, mettendone in luce i gesti eroici, decantando la necessità ed i vantaggi… e così via.
E poi l’evoluzione, il riscatto delle società moderne, il benessere, una condizione di vita migliore, delle aspettative migliori, ideali e lotte, diritti annunciati, traguardi raggiunti. E per molto tempo abbiamo creduto di vivere in una Società civile, in cui il rispetto per l’essere umano è di primaria importanza, in cui dovesse essere garantito il rispetto dei più elementari diritti di quieto vivere, in sintonia con gli altri; insieme agli altri…Ho creduto…ho sperato…ci siamo illusi?
Sempre più spesso, direi costantemente, impattiamo con notizie che ci scuotono dalle nostre illusioni, (inutile fare degli esempi; ognuno può scegliere quello che sente più vicino, o che gli provoca più dolore) e il sogno si trasforma in un incubo, la realtà si mostra in tutta la sua durezza. La vita nelle nostre metropoli è massacrante, i rapporti con il prossimo… Beh, lasciamo stare… Pian piano ci abituiamo al malessere, allo stress, alle frustrazioni, alle disattese aspettative, in un fallimento costante, che frustra la psiche e prostra il fisico, ma soprattutto mina ancor più le poche certezze dei ragazzi che rappresentano il futuro. Genitori assenti, o “malati”, crescono ragazzi ancor più bisognosi di attenzione, bisognosi di credere in un futuro possibile, carenti di rapporti veri e sommersi da relazioni fittizie e superficiali –basti pensare a facebook o simili.
Il tutto alimentato da un malessere economico serpeggiante, un clima di incertezza che taglia trasversalmente tutti i ceti sociali, tranne le classi più agiate, e il quadro si tinge di colori tutt’altro che rosei.
Tutta la violenza che si scatena anche in situazioni futili, in occasione di eventi sportivi, in modo imprevedibile e da persone insospettabili, dove alloggia? E’ così represso l’essere umano, da diventare una bomba ad orologeria?
Ho già parlato di tutto questo, in modo razionale e cinico, forse pessimista, nell’analizzare il Mondo e i suoi inquilini, nel voler vedere questa negatività, ma mi chiedo: cosa può fermare tutto questo?
Soprattutto da diversi giorni nella mia testa frulla una domanda a cui non trovo risposta: Dove stiamo andando?

@ Director

"...nam tu sola potes tranquilla pace iuvare mortalis, quoniam belli fera moenera Mavors armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se reiicit aeterno devictus vulnere amoris, atque ita suspiciens tereti cervice reposta pascit amore avidos inhians in te, dea, visus eque tuo pendet resupini spiritus ore. hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sancto circum fusa super, suavis ex ore loquellas funde petens placidam Romanis, incluta, pacem; nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo possumus aequo animo nec Memmi clara propago talibus in rebus communi desse saluti" (Lucrezio - De Rerum Natura - Libro 1, 1-43)

Allietare tu sola puoi d'una placida pace i mortali. Governa l'aspre fatiche di guerra Marte possente nell'armi: e, vinto dall'insanabile piaga d'amore, egli spesso ti si abbandona nel grembo, e in su, così, riguardando, riverso il collo tornito, in tè d'amore, anelante, pasce gli occhi avidi e pende tutta di lui e supino l'anima dalle tue labbra. Stringiti a lui, mentre giace, dea, con l'intatto tuo corpo, versagli dalla tua bocca dolci parole, implorando, inclita, per i romani una pacifica tregua: che, con la patria turbata, ne noi con cuore tranquillo potremmo attendere all'opera, é, per seguir tali cose, l'illustre germe di Memmio negar potrebbe se stesso alla salvezza di tutti.

Il Poeta invoca la dea Venere, dea dell'amore, ad elargire le sue virtù "pacificatrici, che solleveranno dall'affanno della guerra e dalle sue fatiche il corpo e la mente di Marte, dio della guerra. Che sia sempre questo bisogno di amore, questa sconsolata coscienza della nostra finitezza a farci difendere dal nemico invisibile, finendo per vederlo nell'altro vicino a noi? Questa perversa costruzione della macchina da guerra che si è evoluta da Marte in poi e con Marte, vestendosi di cultura ed amore e parlando poi soltanto di questo tra i suoi tuoni. Il Mito ha indagato e descritto l'anima degli uomini molto prima della psicologia e del suo costrutto. L'abbraccio amoroso di Barthes riepiloga quello della madre e della madre-terra, in cerca di pace. Personalmente, tutto questo mi induce a pensare che quante più donne siederanno nella stanze dei bottoni, quanto più freneremo il bisogno di falsi eroismi. E' la stessa evoluzione della Coscienza dell'uomo a chiedere che egli evolva dentro i propri istinti.

Foto: Allegoria della Pace, scultura opera di un nostro soldato al fronte; Valdagno; 1916, 06; Biblioteca Villa Valle, Centro di Documentazione, Archivio Fotografico della Grande Guerra; Positivo, b/n, gelatina ai sali d’argento, carta
Marte e Venere, di Frans Wouters, allievo di Rubens, Galleria Nazionale di Cosenza 

mercoledì 13 ottobre 2010

Dramatherapy, The Abandon

Improvvisation Techiniques (2010)
Creative Drama & In-out Theatre
Director, E. Gioacchini



Video: Tecniche d'Improvvisazione, Atelier Drammaterapia Liberamente,
Giugno 2010. Regista ed Allievo (Spartaco Pelle)

martedì 12 ottobre 2010

Il Teatro di Georges Ivanovič Gurdjieff.

"Monsieur Gurdjieff e i suoi allievi"
Scuola di Teatro La Teca - Roma

Video: Piece dell'Associazione La Teca, sul teatro di Gurdjieff, Regista Alessandro Albanese, Roma, 9 ottobre 2010. Documento registrato dal CDIOT

sabato 9 ottobre 2010

Drammaterapia, Blue Beard: a caccia dell'anima

Bozzetto priella primitivo della prima scena di Blue Beard,
piece drammaterapica, dic 2006. Atelier Liberamente
Blue Beard...in un tempo dove drammaticamente alla ribalta della cronaca vi è un evento così tragico come quanto occorso a Sarah, noi ci troviamo a lavorare "Barbablu'", nella riedizione di una piece dtrammaterapica che ho scritto quattro anni fa e già rappresentata con un primitivo gruppo dell'Atelier Liberamente, in quel dicembre. Feroce coincidenza che, tuttavia, deve passare per i nostri affetti e pensieri ed uscire arricchita dal "lievito" che la vita fuori non dà certamente, se non è cercato. Ed intanto l'assegnazìone del premìo Nobel per la pace al dìssìdente Lìu Xìaobo mette sempre più in evidenza quanto sia difficile nascondere i crimini, ma tuttavia non sempre possibile  evitare che si consumino: mentre la Cina può protestare, altre proteste silenziose, nel suo grembo, vengono imprigionate.
L'atelier, nel suo statuto teorico, si rifa al Creative Drama
& In-Out Theatre, così come meditato negli ultimi tre anni, e lavora nel contesto di quello che io definisco un teatro totale. Non è un  teatro sociale, nè politico, ma "totale" è appunto l'esperienza dell'attore che qui fa lavorare il processo drammaterapico con quanto suggerito dal director, dal testo, ma anche con tutto ciò che è il bagno quotidiano della mondanità, quella realtà così difficile da rappresentare, perchè a tratti supera ogni finction, abbandono, tema dell'orrore e morte.

Quattro alpini, hanno fatto veleggiare le loro anime verso posti che non conosciamo, ieri, nell'afa di una terra afgana che nulla regala agli ideali, se non si soffre, ma vive con le contraddizioni del tempo dell'uomo, tante e troppe da elencare. Nessun orco lì, nessun cattivo, ma un tessuto sociale dilaniato tra passato e presente, tra interessi e paure. Un pensiero intenso anche dal nostro teatro alle lacrime vere di coloro che i nostri soldati hanno lasciato ed un abbraccio alle loro vite già trascorse. Director