L'Atelier LiberaMente è uno spazio aperto, nella misura in cui va consolidando il suo pensiero e la sua pratica. Un blog permetterà di estendere l'area comunicativa, un "drama" allargato delle idee e delle competenze. Director, E. Gioacchini







lunedì 12 luglio 2010

Drammaterapia: l'indicibile paura della busta del latte

@ Nero

L’indicibile paura della busta del latte.

Quante volte evitiamo di cimentarci in esperienze sconosciute per evitare una possibile sconfitta…E perché dovremmo farlo? Andare incontro a una sconfitta intendo.
A meno che non ci sia qualcosa di distorto nella nostra mente, il desiderio di vincere è un’aspirazione sana, una spinta positiva nell’essere umano. O no?
Nei tantissimi anni del mio lavoro sono stato a contatto con tantissime persone, ragazzi alle prime armi e persone adulte, più o meno esperte del lavoro che stavano svolgendo, collaboratori a cui ho insegnato -o ho cercato di farlo- il modo in cui avrei desiderato lavorassero al mio fianco.
A parte gli innumerevoli dettagli e sfumature che fanno parte del nostro lavoro, alcune difficoltà altrui -assolutamente meccaniche e di tipo pratico- hanno sempre suscitato in me un forte fastidio e una serie di domande irrisolte. (Apro un frigo e non vedo cosa c’è dentro, vendo l’ultima bibita “x” e non penso a ricaricare, ecc..),
Ma la più intrigante è: l’apertura della busta del latte. Non la bottiglia con il tappo, la busta quadrata di carta impermeabile. E’ un gesto che si ripete più e più volte nell’arco della giornata, ma soprattutto nei meno esperti suscita una discreta difficoltà. Su un lato c’è scritto APRIRE QUI. Quindi bisogna, usando le due mani, allargare con decisione le due alette e piegarle all’indietro; prendere le punte che si sono formate e tirarle in avanti fino alla formazione di un’apertura della giusta grandezza e un naturale beccuccio che non fa cadere nemmeno una goccia.
Dopo averlo spiegato, mostrato, e decine di aperture, ho visto fare di tutto dai poveri apprendisti che collaboravano al mio lavoro. Buste aperte al contrario -che quindi si strappavano-, aperture delle alette con una sola mano che strappava il beccuccio che non si sarebbe più formato, formazione di un foro in cui era necessario infilare un dito per essere allargato, ecc…
Ma come si fa, mi chiedevo, a non imparare a fare una serie così semplice di gesti? E il malcapitato a cui fai questa domanda cosa può risponderti? Certo poi, a furia di provare, tutti aprono alla perfezione la busta (a volte dopo settimane, per poi sbagliare di nuovo).
Ma nel frattempo io ho risolto l’enigma. Non è il grado di difficoltà di un’azione che la rende realmente difficile, ma la quantità di paura che noi abbiamo di sperimentarla -e vincere portandola a termine in modo esatto.
E se ancora una volta strappo in malo modo la busta? E se apro un frigo e non vedo un’anguria? Non un acino d’uva, un’anguria...
La mente razionale fugge un’altra possibile frustrazione, e scappando va ad infilarsi nell’unica via rimasta libera. L’ERRORE.  Non quello costruttivo, ma quello della frustrante sconfitta, perché -assurdamente- è una posizione familiare e quindi, una zona di confort.
Come il bambino solo che è in me, che non può fidarsi di chi ha vicino, perché soffrirebbe un’altro abbandono e preferisce rimanere solo -a soffrire.
Averlo scoperto, analizzato, ecc.., purtroppo non aiuta affatto a risolverlo e, a parte l’ironia, l’unico modo che abbiamo per uscire dai nostri meccanismi perversi, è usare le stesse armi che li hanno costruiti; le nostre paure e i fantasmi del passato.
Sono emozionato con Astra, quando la sento gioire per aver scoperto un’altra Giuliana, anche se un po’ la spaventa, e gioisco con Sole che tocca temi profondi del passato e si rammarica per non aver dato voce ai suoi desideri e ai suoi pensieri.
Continuiamo un percorso costruttivo e unico, che non può farci che bene. E do ragione al director quando ci dice di cercare in noi, di aprirci a lui e agli altri, perché non possiamo bastare a noi stessi, non ce la faremmo a migliorarci usando le conoscenze acquisite.
Se nell’Universo regna un ordine che viene sconvolto dal caos per poi tornare in ordine, perché dovremmo passare la vita a cercare di mettere a posto le cose come diciamo noi?
Perché non accettare la diversità come momento di crescita? Perché non cercarla? (La diversità, intendo)





3 commenti:

  1. Errore, io lo chiamo segnale....e tu lo puoi considerare o meno ed aggiustare il tiro! Da oltre centomila anni noi perlustriamo ed esploriamo il nostro pianeta...tutti gli "errori" fatti ci hanno portato sulla luna (Armstrong & Co), ci hanno fatto confinare la nostra mente sulla luna (Rolando), ci fanno sognare alla sua luce, al crepuscolo. Poi, improvvisamente quella odiosa, pervicace, impertinente ed ostinata voglia di fare le pulizie...di casa, etiniche, strordinarie, pasquali, con il tetrapak perfino! Che il nostro gesto o sguardo carezzi la realtà ed apprenda ad osservarla con occhio nuovo può andare molto bene, ci fa fare amicizia con le cose...ma ti assicuro, meglio mille sbagli che cinquecentomila odiose ripetizioni. Io, ad esempio, carezzo alcuni angoli, urto costantemente contro alcuni, altri mi fanno meditare, con alcuni cambio strategia, quando li condivido, sto sempre molto attento (qualcuno lo chiama rispetto). E' che se sei padrone del tuo piccolo mondo, puoi farne quello che vuoi (ma chi lo è del tutto); se lo osservi già in due (figuriamoci a tenerlo)ti servono più di due occhi (in realtà il pensiero che che ve ne sono altri due a spartire lo spettacolo). Ma chi a mai detto che tutto debba essere facile! Bravo!

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  2. Caro Nero, la banalità di una anonima busta del latte,guarda dove ti ha portato. Quante banalità ci siamo persi! E' veramente bella questo pensiero. Ciao Liberta

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  3. Caro Nero, stamani al lavoro ho sperimentato il tuo concetto di difficoltà di un'azione. Mi sono resa conto, che il problema non è nell'azione, ma è la paura che io ho dentro di fare quella cosa in modo giusto. Poi ho capito, che è possibile farcela. Mattoncino dopo mattoncino, da una parte smantello la paura, dall'altra costruisco Astra. Un abbraccio. Giuliana

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