Quasi alla vigilia di un teatro che diventa performativo, quello della drammaterapia, tradendo rischiosamente e con fascinazione il proprio statuto (quello che lo vorrebbe interessato al processo e non ad una piece finale), qualche piccolo tip che permetta di lavorare meglio le parti, comprensibile alla luce di quanto più volte discusso insieme a voi.
- Se la vostra performance sarà sulla falsa riga di una buona recitazione, questo costituirà una buona premessa, ma non il risultato.
- La piece finale è un grande laboratorio finale, dove al gruppo dei partecipanti i laboratori, quali spettatori del processo drammaterapico (rituale ristretto), si sostituisce il pubblico (rituale allargato), come nel teatro in senso stretto.
- Il gruppo degli attori così diviene un grande corpo, ed un'anima insieme, che modulano il processo all'unisono, compresi delle differenze e dei diversi punti di arrivo (equilibri, catarsi ed insight).
- Le parti sono oggetti materici che ora l'attore muove e disloca, senza la preoccupazioni di costruirle (un oggetto se è, esiste di per sè). La modalità con cui le muove e le fa interagire con il gruppo costituisce la performance drammaterapica: la piece.
- Tutti gli attori "recitano" un hypnodrama, con legami visibili e meno, che può allargarsi al pubblico.
- Questo permette la fluidità del "racconto" esterno, suggerito dalle dinamiche dei vari racconti dei singoli attori che trovano il laboratorio quale posto ideale per essere elicitati e "giocare" l'incontro creativo.
- Non vi è un attore con la sua parte, ma una parte dell'attore a giocare con quelle degli altri e viceversa.
- Ciò che viene rappresentato non è mai esistito prima ed è nel costante bilico della nascita e della morte.
- La coscienza di quest'ultimo fatto con l'insostituibilità delle azioni drammaterapiche di tutti è il fondamentale motore della piece.
- Essa riassume quanto processato prima, nella appartente cristalizzazione del rappresentato teatrale, senza identificarsi con esso.
- nella sua dimensione di teatro "antropologico", alla stregua del teatro sciamanico, la piece finale performa nella "terra di mezzo" quanto ha lavorato nella dimensione intrapsichica e relazionale.
- Questo è lo "spettacolo" del teatro drammaterapico.
E se questa energia e questo prodotto mai statico venisse rappresentato davanti ad un pubblico e riprocessato nello "spettacolo" del teatro, come Grotwsky lo intendeva, povero di apparato scenico e pregnate di certosino lavoro dentro la propria "privata" parte, mi sono chiesto due anni fa? Ed è nato il Creative Drama & In-Out Theatre. Riconosciute le proprie origini, l'attore crea il luogo del teatro dove sta recitando. Non è mai il luogo a creare lui.
Ho riletto molte volte questo post, illuminante sulla tecnica della drammaterapia. E' una sfida notevole azzerare l'esperienza tecnica acquisita in altre attività teatrali. Sfida che non si può mancare di accogliere..
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