L'Atelier LiberaMente è uno spazio aperto, nella misura in cui va consolidando il suo pensiero e la sua pratica. Un blog permetterà di estendere l'area comunicativa, un "drama" allargato delle idee e delle competenze. Director, E. Gioacchini







martedì 1 giugno 2010

Teatro, Drammaterapia: la felice nudità dell'attore

@ Blue

Sono “reduce” da due serate di rappresentazione teatrale e sono ora nella condizione migliore per aggiungere le mie parole alle parole del Director. Mi propongo, mentre mi accingo a scrivere, di approfondire, sull’onda dell’emozione e del pieno di adrenalina, la relazione attore–spettatore, ma so già (con divertita consapevolezza) che non sarò né tecnica, né teorica.
Ecco, mentre scrivo, sento già che sta affacciandosi alla memoria emotiva un misto di sensazioni che arrivano come un colpo allo stomaco, ma che non fa male, anzi… che ti fa raddrizzare la schiena e ti fa andare incontro all’universo.
E’ qualcosa di simile alla vertigine-voglia di volare o alla sensazione che si prova quando ci si accorge di essere innamorati e ci si scopre stupiti di stare al mondo.
Vorrei mettere in ordine queste sensazioni per raccontarle, ci provo…. Provo ad enumerarle a caso. La paura di sbagliare. Lo sconforto davanti a una prova mal riuscita. Il panico per aver dimenticato un oggetto di scena. L’attacco di fame o, al contrario, la gola che si chiude e non si riesce a buttare giù neanche un boccone. Le mille piccole scaramanzie (“aaarghhhh, levati quella sciarpa viola!!!”). Lo stimolo a fare pipì nel momento più inopportuno. Il regista che si arrabbia e che ti fa sentire una nullità. L’abbraccio del regista che ti ringrazia con le lacrime agli occhi dopo lo spettacolo. La complicità e l’intimità che si creano tra persone che non si sarebbero mai incrociate. Provate a immaginare quanto si accorciano le distanze tra gli attori, quando una donna che non è vostra madre o vostra moglie vi adatta con ago e filo il costume di scena. Quando un volto di cui non conoscete esattamente tutte le pieghe, si avvicina al vostro per truccarvi e vi fissa con la stessa intensità della ragazza che baciaste a sedici anni. Gli sguardi di incoraggiamento tra gli attori in scena e gli attori dietro le quinte e mi fermo qui, per ora.
Ci sono due momenti che io ho sempre trovato meravigliosi nelle mie avventure teatrali.
Il primo è l’alzarsi del sipario: le luci sono spente in sala, siamo truccati, vestiti, le posizioni sono prese e c’è un attimo di sospensione silenziosa in cui gli attori-sacerdoti si raccolgono in sé stessi e attendono che si apra la finestra per celebrare il loro rito.
Il secondo è il sipario che si chiude: gli attori fermi, dopo l’applauso, si tengono per mano, stanno per togliersi i loro paramenti, e, mentre la cortina pian piano copre la visuale, capisci che è tutto finito, ma in quel momento si scorgono, nel pubblico, i volti amati, gli amici che sorridono, i cenni di saluto disperati di chi vuol dirti: “Sono qui!! Ci sono”.
E’ come una nuova nascita, un ritorno al mondo, e quel momento è un momento di bellezza estrema.
Cosa si può desiderare di più al mondo, se non vedere le persone amate felici?
E scoprirsi capaci di aver emozionato, commosso, divertito, stupito, riempito di orgoglio i propri cari, regalando loro le emozioni con cui hai nutrito il personaggio, e tutto quello che hai vissuto nell’avventura dell’allestimento è una sensazione che riempie di saldezza, di forza, di voglia di esserci, qui ed ora e anche per tutti gli anni che verranno. Se poi, un giorno, una bimba bella come una fata vi stringe forte la mano, dopo lo spettacolo, e vi guarda con due occhi brillanti come cristalli perché ha compreso tutto questo, beh, potreste sentirvi come Meryl Streep che stringe l’Oscar tra le mani.
L’applauso, quello che noi cerchiamo, racchiude questo: è la luce, fatta solo di onda energetica, senza corpuscolì, è insieme forma e sostanza. E’ sancire il momento di vita che si è appena vissuto insieme, pubblico e attore, non è il voto alla performance.
Io non ricordo mai i fallimenti in teatro: ogni volta, ho ricordato questo.
E ogni volta ho ricordato che in teatro ci si dona, ci si regala. E’ come se si dicesse: Guardatemi, sono io, vostra figlia, vostra amica, vostra collega, vostra allieva, vostra attrice, che vi dono ciò che sono, bella o brutta, buona o cattiva, perfetta o sbagliata, ma sono io, unica, che soffro, rido, piango, e faccio parte dello spettacolo del mondo”.
Bello vero, sentirsi così? Lo auguro a tutti voi, e soprattutto mi auguro di poterlo vivere presto insieme a voi. Voglio ringraziarvi tutti, so che mi avete pensato.
E soprattutto ringrazio il Director, per così tante cose che ci vorrebbe una decina di post per scriverle tutte.









@ director

Sembra di leggere la descrizione (meno lirica, ovviamente, ma non per questo meno vera) che Cortazar fa nella parte finale del "Il Fissatigre" (Storie di Cronopios e di Famas), quando descrive l'attimo sublime e trascendente la realtà sensibile, con il rimando a quell'estensione gruppale fatta di condivisione che unisce la famiglia nel rito finale, quando "la tigre" è finalmente fissata! Famiglia...famiglia di attori, che fa (?). L'empatia che cresce nel lavoro artistico di un gruppo ha a che fare con l'entusiasmo degli operatori della Nasa a Cape Kennedy, all'allunaggio dell'Apollo, ma, ancora di più, con la scoperta di quell'America che dicevamo...quando ancora non si sospettava, ovviamente, che i cinesi l'avessero scoperta poco più di mezzo secolo prima!
Non ci si sente soli. Ha ragione la mia attrice, condivisa tra un gruppo di teatro ed uno di drammaterapia per le risorse. E, vi assicuro, non è poco...Grato a te, blue, a voi...Bravi i tuoi compagni di viaggio del SAT ed il tuo regista.

Foto: foto di scena da "Rumors", di Neil Simon, due tempi della piece  della Compagnia del Sat, per la regia ed adattamento di Memo Dino

1 commento:

  1. vorrei ringraziare in particolare Libertà e Astra e loro sanno perchè!

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