L'Atelier LiberaMente è uno spazio aperto, nella misura in cui va consolidando il suo pensiero e la sua pratica. Un blog permetterà di estendere l'area comunicativa, un "drama" allargato delle idee e delle competenze. Director, E. Gioacchini







giovedì 30 settembre 2010

DRAMATHERAPY, TOWARDS THE CHANGE

@ Sole

Il "cambiamento" include necessariamente un risveglio della coscienza, che non avviene se non sappiamo vedere l’altra versione di noi stessi , talmente presi da un immagine di noi ben delineata, da non sentire il desiderio di guardarci dentro. “Come mi vedono gli altri?”. Bella domanda , ma ancora più difficile rispondere alla domanda “come mi vedo io?” Sicuramente gli altri vedranno qualcosa di noi che non vediamo, mentre il nostro pregiudizio, spesso inflessibile, ci condanna ad una coscienza assopita e a volerla risvegliare, c’è da demolire pareti ed aprire finestre per far entrare la luce, allora tutto ci può essere più chiaro. Abbattere le barriere della nostra mente razionale che ci imprigiona e lasciare che l’istinto, quella parte animale di noi, ci conduca la dove abbiamo timore di andare. Guardarsi dentro, per migliorare fuori, accogliere un pensiero di te e scoprire il desiderio di conoscere te stessa, un piccolo passo che ci può portare lontano e capire che in fondo quel cambiamento non fa poi così paura. Per andare oltre, avanzando in mare aperto.



CYRANO

Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto, infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perchè con questa spada vi uccido quando voglio. Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza avrete soldi e gloria, ma non avete scorza;

godetevi il successo, godete finchè dura, che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura e andate chissà dove per non pagar le tasse col ghigno e l' ignoranza dei primi della classe. Io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna. Gli orpelli? L'arrivismo? All' amo non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco, io non perdono, non perdono e tocco!

Facciamola finita, venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti, venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false che avete spesso fatto del qualunquismo un arte, coraggio liberisti, buttate giù le carte tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto, assurdo bel paese. Non me ne frega niente se anch' io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato; coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco e al fin della licenza io non perdono e tocco, io non perdono, non perdono e tocco!

Ma quando sono solo con questo naso al piede, che almeno di mezz' ora da sempre mi precede, si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore, che a me è quasi proibito il sogno di un amore; non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute, per colpa o per destino le donne le ho perdute e quando sento il peso d' essere sempre solo, mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo, ma dentro di me sento che il grande amore esiste, amo senza peccato, amo, ma sono triste perchè Rossana è bella, siamo così diversi, a parlarle non riesco: le parlerò coi versi, le parlerò coi versi...

Venite gente vuota, facciamola finita, voi preti che vendete a tutti un' altra vita; se c'è, come voi dite, un Dio nell' infinito, guardatevi nel cuore, l' avete già tradito Venite voi materialisti, col vostro chiodo fisso, che Dio è morto e l' uomo è solo in questo abisso, le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali; tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti. Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco, io non perdono, non perdono e tocco!

Io tocco i miei nemici col naso e con la spada, ma in questa vita oggi non trovo più la strada.Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo, tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo: dev' esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto.Non ridere, ti prego, di queste mie parole, io sono solo  un'ombra e tu, Rossana, il sole,ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora ed io non mi nascondo sotto la tua dimora perchè oramai lo sento, non ho sofferto invano, se mi ami come sono, per sempre tuo, per sempre tuo, per sempre tuo...Cirano

@ Director
Quest'uomo...stanco nel compromesso, per il compromesso, del compromesso, nella stagnante acqua dei propri ideali e timori. Convinto che basti muoversi, agire, imbrogliare la vera storia dei propri pensieri e bisogni più autentici, oltre quelli che la cultura gli consegna, per non cadere nella disgrazia di una "storia" personale e sociale che invece è sempre la stessa. Con l'alibi di un vigore fisico che lo fa gridare sulla sommità della vetta; se serve, affrontando gelo e tormenta, deserti ed eserciti. In fuga in avanti, a sorpassare la propria ombra, in un gioco infinito. Finalmente, egli si osserva. Posa il gladio sulla riva immota dello specchio d'acqua scuro...che a poco servirebbe, maldestramente afferrato dalle dita di una zampa allungatasi durante la notte. Nel riflesso, pallido anch'esso, della luna e al canto di di qualche prossimo verdognolo compagno di salti:
"Ma quando sono solo con questo naso al piede,che almeno di mezz' ora da sempre mi precede, si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore che a me è quasi proibito il sogno di un amore...
Quest'uomo, questa donna devono scoprire che non basta discutere di filosofia e scienza od imbrogliare il senso di morte con gli ideali e l'istinto di procreazione, perchè vi sia un senso alla propria avventura. Un capriccio della natura, un soffio del Dio, li ha tolti dall'acqua sepolcrale della coscienza, forse l'amore può "destinarli" più compiutamente ad un incontro. La strada della rinuncia, quella della sfida? E' il caso di dire che, in questo caso, non vale il tertium non datur. Biologia e cultura dialogano dentro comunque e la coscienza di questo dialogo, mentre si svolge, è la terza via..

Video: "Immagini dal film Cyrano de Bergerac regia di Jan-Paul Rappenau con Gerard Depardieu. Musica, Cyrano di Francesco Guccini". Per gentile concessione da Erandil 88.

mercoledì 29 settembre 2010

Drammaterapia: potenza della parola e del gesto

@ Astra

Scorrendo, guardando e scrutando le foto, così nitide e vive, così chiare da riflettere in pieno le situazioni che avevamo vissuto, mi sono chiesta, nonostante tutto quel bel vedere, perchè avessi recepito in maniera quasi sfocata quello che si stava svolgendo intorno a me. Stimolata dal Director, mi sono resa partecipe con calore, e quindi la mia parte accogliente è diventata protagonista: attraverso quell'abbraccio mi sono ritrovata nella condizione a me favorevole. Perchè la morte di un ranocchio l'ho sentita solo attraverso una parola e non attraverso il dramma dell'evento. Invece, chiamata ad accogliere e consolare la principessa ero lì con tutta me stessa, a vivermi l'incontro. Spesso nella vita, si perde il gusto della scoperta, del donarsi e del rischiare e si è spinti,come quella principessa, a non voler uscire dallo stagno, perchè protetti da una situazione rassicurante e priva di sorprese. Quello che ci deve spingere fuori dallo stagno è il desiderio di riscoprire l'amore con il mondo, avere la volontà e la curiosità di vederlo da una prospettiva diversa e con la consapevolezza che esso ci può essere amico, consigliere e da guida nella via che ci troviamo a percorrere, ma tenendo anche presente che, in qualsiasi momento, siamo sempre noi a decidere dove vogliamo andare veramente.

"... siamo sempre noi a decidere dove vogliamo andare veramente"

Drammaterapia e le resistenze al cambiamento

@ Libertà
Riflessioni sulla morte del ranocchio.
Perchè decide di morire? Forse stanco di non essere ascoltato da una principessa che troppo timidamente cerca di svegliarlo, anche se egli prova a rassicurarla, aspettando forse un gesto che poi arriva su sollecito, quindi non scelto. Mortificato da tutto questo, decide che non ne vale la pena. A mente fredda, capisco che senza scelta non c'è gioia di incontro, non c'è dono, non c'è vita umana, ma c'è una scelta conveniente o forzata o di quel momento: a questo punto perchè risvegliarsi, per prendere cosa! La scelta di morire è per poter rinascere e vivere, che si incontri una principessa o meno non è dato sapere; l'importante è provare a vivere consapevoli dei nostri limiti e alimentati da quel desiderio magico di un incontro, di un sorriso, di uno sguardo e di tutto quello che la vita ci può dare.

Consapevole del mio umano limite, costruito nel corso della mia vita spero sempre di poter contare su qualcuno che nei momenti di immobilità sia lì a stimolarmi contro me stesso. Perchè è proprio questo il mio, il nostro pregiudizio verso noi stessi: gli altri sono solo un paravento al nostro voler vivere. Mi rendo conto, scrivendo, che è complicato solo redarlo e immagino quanto sia difficile attuarlo, anche perchè siamo portati a ragionare in termini di obiettivi da raggiungere e invece l'obiettivo non è altro che un blocco di partenza per continuare il cammino, alcune volte correndo, altre più piano, qualche volta riflettendo  (come mi accade ora). Per non ricadere nei meccanismi passati, ("...zampetta verde sotto mantello di ermellino"), non bisogna mai mostrare il fianco alla nostra comodità-scomodità e provare a viverla. Grazie a tutti che mi date la possibilà di sentire ed elaborare queste cose.

martedì 28 settembre 2010

Drammaterapia: "... vedere un'altra versione di se stesso e sentire il desiderio di conoscerla"


@ Blue

Nero, con un suo commento flash, ha innescato un nuovo spunto di riflessione. Egli ci parla di ranocchie e principesse, ribaltando la situazione vissuta nella fiaba del "principe rospo"....

Noi ranocchie, imprigionate in corpi di principesse, a volte cerchiamo di negare quella parte animale che celiamo nell'archivio della consapevolezza. Nascondiamo anche a noi stesse un desiderio prepotente di sguazzare nel fango di uno stagno, ma quell'istinto rinasce ogni volta che i nostri piedini, calzati di vezzose scarpette, incontrano una invitante pozzanghera ai bordi delle strade. A volte, ci possiede una insana voglia di cantare a squarciagola, in sommo spregio delle regole del solfeggio e dell'armonia, come se riaffiorasse un ricordo lontano di selvagge gracidate nell'umidità della notte. Impossibile frenare, in certi momenti, quella voglia prepotente di strapparci di dosso gli abiti sontuosi, di smettere di nutrirci di miele e di petali di rosa per abbuffarci di pizza (anche poco cotta). Che gioia selvaggia quella di abbandonare il portamento regale e i passi di minuetto per tornare a saltare e scoprire che il quadricipite delle zampe posteriori non ha mai perso la sua funzionalità.!! Noi principesse-ranocchie non chiediamo di essere amate o apprezzate per l'uno o l'altro aspetto della nostra natura: vogliamo solo “esistere” così come siamo, e vivere la nostra duplicità, senza interrogarci con doloroso stupore su chi siamo veramente.

Duro vivere così oggi: in tutti i reami del mondo delle fiabe reali vige la legge che, sei vuoi essere vincente, devi essere principessa. E se sei principessa, devi rimanere giovane, graziosa, controllata, infallibile, ossequiosa, attenta, rispettosa dei desideri altrui PER SEMPRE. Alcune attendono, statiche e inerti, un principe azzurro, perfetto dalla piuma sul cappello fino allo stivale di pelle rossa, capace di fare i miracoli più impensabili: risvegliare una condannata al sonno perpetuo, con un bacio come pure garantire soldi, casa, rispettabilità, vacanze al mare, sicurezza per tutta la vita alla figlia di re. Altre, confidano per i i momenti difficili nell'aiuto di fate madrine che si materializzano quando “le cose si mettono male” come, ad esempio, quando, per farti notare dal principe al ballo, devi avere l'abito giusto e devi allontanare il sospetto che in te si nasconda una ranocchia (assumendo che essere un poco ranocchie sia una cosa sbagliata). Comunque sia, le fate madrine sono altamente specializzate nella soluzione dei problemi principeschi e ogni tanto si materializzano, ma resta il fatto che chi tra noi è più anfibia di altre sa che , tutto sommato, aspettare un principe o una fata per gran parte del tempo può essere molto noioso.

Per fortuna, a volte, incontriamo principi imprigionati in corpi di rospi, li riconosciamo e sappiamo che qualcosa può cambiare.

Non è una cosa semplice incontrarli e riconoscerli però: prima bisogna uscire dal giardino del castello, senza ancelle o fate madrine; poi occorre vincere la repulsione e, infine, accettare che possa esistere qualcosa di tanto diverso da ciò che conosciamo. Quelle verruche, quel modo di gonfiare il collo, tutto quel repellente fango che li ricopre.... quanto è lontano dal mondo pulito, lindo, ordinato delle nostre camerette con letti a baldacchino! Eppure, quella lontananza dalle nostre certezze, a poco, a poco, ci conquista e non sappiamo resistere alla curiosità di osservarli meglio, di far spaziare il nostro sguardo sulla loro schiena arcuata, sulla loro forma tondeggiante che sembra fatta apposta per essere contenuta, giusta giusta, nel palmo delle nostre mani unite. Ecco, in quel momento le principesse sono pronte per incrociare i loro occhi con quelli del rospo e quando ciò succede, è come mettere un libro allo specchio. Anche se viste al contrario, le parole sono sempre le stesse, non cambiano di significato, ma solo nella forma in cui si presentano.

Così le principesse ranocchie e i rospi principi comprendono che in quello sguardo cruciale c'è la vera magia che non è quella dei baci resuscitanti o delle bacchette di fata. La vera magia è quella di vedere un'altra versione di te stesso e sentire il desiderio di conoscerla, di portarla con te, di accoglierla in te. Se un rospo può desiderare di riappropriarsi della sua natura più nobile (chiamiamola pure “umana”), fatta di coscienza, di cultura, di relazioni complesse, di ricordi e di emozioni, perchè noi principesse non dovremmo desiderare di ritornare a una dimensione più “animale”, fatta di istinti e di comportamenti giusti perchè opportuni secondo natura? Ma come si fa a comunicare questo bisogno reciproco? I rospi gracidano e le principesse parlano.

Si deve cercare un punto di incontro e la geniale fanciulla ricorre al bacio: se le belve schiudono le labbra e mostrano i denti per minacciare e allontanare, la bocca estroflessa, soave e silenziosa, protesa verso il regale anfibio, invierà a questo una richiesta di avvicinamento e di abbandono. Ora l'incantesimo si compie e , oltre alla comprensibile contentezza di vedere materializzato il più bel principe di tutti i reami, la principessa prova la gioia impagabile di sentirsi finalmente vera, completa, riconosciuta, libera. E il lieto fine potrebbe essere questo, senza bisogno di nozze fastose e di “e vissero felici e contenti..”.

Foto: foto di scena dal laboratorio di storytelling "Il Principe Ranocchio", Atelier Liberamente, 2010

DRAMMATERAPIA & EMPATIA


Parte I

L'empatia è un sentimento che nella discussione sulla sua natura, come l'amore, rispolvera l'istinto e la cultura, il gruppo e l'individuo nelle sue particolarità. Se genericamente tale comportamento può essere individuato nella capacità di porsi "in the other'shoes", nei panni dell'altro nella estesa relazione con il mondo, sappiamo però che ha una origine tipicamente "teatrale: nasce per designare il sentimento dell'attore, cantore di storie, verso il suo pubblico.

Dall'Enciclopedia Treccani, Empatia s. f. [comp. del gr. ἐν «in» e -patia, per calco del ted. Einfühlung (v.)]. – In psicologia, in generale, la capacità di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, in modo immediato, prevalentemente senza ricorso alla comunicazione verbale. Più in partic., il termine indica quei fenomeni di partecipazione intima e di immedesimazione attraverso i quali si realizzerebbe la comprensione estetica.

Carl Rogers, 1970
[Credit: Courtesy of Carl Rogers]Dall'Enciclopedia Britannica, empathy, the ability to imagine oneself in another’s place and understand the other’s feelings, desires, ideas, and actions. It is a term coined in the early 20th century, equivalent to the German Einfühlung and modeled on “sympathy.” The term is used with special (but not exclusive) reference to aesthetic experience. The most obvious example, perhaps, is that of the actor or singer who genuinely feels the part he is performing. With other works of art, a spectator may, by a kind of introjection, feel himself involved in what he observes or contemplates. The use of empathy is an important part of the counseling technique developed by the American psychologist Carl Rogers.

Quando la tragedia greca proponeva sulla scena gli elementi della sventura, della disfatta, della persecuzione e contestualmente chiedeva alla parte dell'attore il superamento degli ostacoli oltre quella condizione di "crisi" rappresentata, era proprio il sentimento empatico a permettere che il suo pubblico sentisse propria la vicenda. Il dramma rappresentato parlava così di quanto appartiene alla storia degli uomini e degli dei, dell'eroe e del malvagio, arrivando a scuotere la coscienza. In un illuminato capito di un volume di Rush Rehm, "Radical Theatre: Greek Tragedy and the Modern World" (London, 2003,Classical Inter/Faces), intitolato "Tragedia e Ideologia", l'autore esamina l'attualità di quanto proposto dal teatro greco nella società moderna, il suo ruolo "mediatico" nel suggerire da sempre il superamento di cliche culturali, facendo attingere alle risorse individuali e gruppali.

"La tragedia greca pone i suoi protagonisti in situazioni letteralmente terrificanti, delle quali questi hanno piu’ o meno responsabilita’, dove molto e’ in gioco, e poi chiede loro di agire. La parola greca per questa difficile situazione, krisis, non sta ad indicare distruzione o caos, come accade invece con il nostro termine "crisi", ma implica piuttosto una scelta o una decisione.

Premesso questo, gli individui di una comunita’ che si trovino ad affrontare una situazione critica, sono soggetti a numerose influenze, tra le quali i modelli precedenti di comportamento appropriato. Potremmo chiamare la matrice di queste influenze "ideologia": l’intreccio di quei presupposti che i membri di una societa’ posseggono, o ci si aspetta che posseggano, a cui sono educati o indottrinati, e per i quali ricevono riconoscimento. In circostanze normali, l’ideologia passa inosservata e non viene messa in discussione, a condizione che abbia una base di idee, valori e azione.
Nei momenti di crisi dunque, la gente tende ad attingere a questi modelli di pensiero e azione, convalidando l’ideologia che ha plasmato la loro reazione. Tuttavia, quando gli eventi diventino sufficientemente gravi o traumatici (come sono generalmente quelli della tragedia greca) la gente puo’ anche arrivare a mettere in discussione questi modelli, e spezzare i soliti circuiti obbligati di comprensione e reazione. In tal modo, circostanze estreme aprono nuovi orizzonti di pensiero e azione, e generano nuove crisi (scelte) che hanno in se’ la possibilita’ di trasformare e anche indebolire i regimi dell’ideologia" (Riportato da PeaceLink, 20 luglio 2004 - di Rush Rehm - trad. P. Merciai)

Il valore "rivoluzionario" è implicito dunque nel teatro; la sua capacità di sollecitare nella coscienza ribaltamenti delle situazioni rappresentate, di spingere oltre l'oblio e la morte il senso del pericolo di  resa agli eventi che la coscienza ha permesso di osservare ed articolare, e di questo abbiamo già parlato diffusamente. Se empatica è la comunicazione tra attore e spettatore, quando il teatro riesce (altrimenti non vi è tetaro, ma rappresentazione), assolutamente empatica si richiede che sia quella tra gli attori e tale elemento acquisisce un senso anche più ampio nel caso della drammaterapia. Qui sono in gioco le reciproche rappresentazioni della scena, in bilico di imperfetta armonia con quanto previsto dal testo. E' comprensibile che si generi una costante dimensione transferale, che invece non è richiesta al teatro; che con quella si lavori e si alimenti il processo drammaterapico. (segue parte II)

lunedì 27 settembre 2010

Drammaterapia: Blue Beard ed i rischi delle Principesse



Le principesse hanno il privilegio di svegliare, rompendo sortilegi; sucitare l’invidia e l’ira delle streghe, delle donne e degli uomini, il loro amore e disprezzo. Sanno osare, addormentarsi in attesa del segnale giusto, riconoscere bene il marron dall’”azzurro” e dunque scegliere. Il loro amore ispira grandi gesta; per loro si fanno guerre, con loro si fanno durature paci. Con loro si vive felici e contenti o ci si danna. E mentre andiamo a considerare questo, sullo sfondo di Ranocchi in attesa della grazia che grazia e Principesse intente nel lavoro dell'amore, ci si appresta allo studio di Blue Beard ed alla sua messa in scena a dicembre.
Sì, una principessa supera la magia, anche quella di una chiave insanguinata, contaminata dall’errore e, se vuole, resetta tutto e ricomincia daccapo. La macabra consolazione (perché vera), piena di ironia (ma tragica), è che abbia rischiato di lasciarci la testa, in questo gioco pericoloso dell’amore, dove si straccia e si è stracciati, fuori e dentro le favole.

“ (amore)...per prima cosa è sempre povero, e è ben lungi dall’essere delicato e bello, come i più se lo figurano, anzi è grossolano, mezzo selvatico, sempre scalzo, vagabondo, sta sempre buttato in terra e senza giaciglio, dorme all’aperto davanti agli usci e nelle strade, perché ha la natura della madre, sempre compagno di casa dell’indigenza. Ma da parte del padre è uno che tende insidie a ciò che è bello e buono, essendo di natura virile, audace, violento, gran cacciatore, sempre occupato a tessere qualche trappola e desideroso di intelligenza e pieno d’espedienti, tutta la vita dedito al filosofare, abilissimo imbroglione, esperto di veleni e sofista; inoltre né è per natura immortale né mortale, ma a volte nello stesso giorno fiorisce e vive, quando le cose gli vanno bene, a volte invece muore ma di nuovo torna a vivere per la natura paterna, sempre scorre via la ricchezza che si procura, così che Amore non è povero né ricco, e allo stesso modo si trova nel mezzo fra sapienza e ignoranza” (da il Simposio, Platone).

Nel laboratorio del Principe Ranocchio, la Principessa finalmente esce dal guado pericoloso e fantastico dello stagno, grazie alle braccia di una compagna che da fuori la chiama a sè. Non il padre Re, nè la madre Regina, nè il Principe Azzurro, ancora un poco Marron per il recente soggiorno paludoso...L'amicizia con il mondo si rinnova, nelle braccia di un'amica, donna, rispecchio di madre genitrice ed insieme di figlia. E' questo che avviene. Nei momenti più gravi nessuno ci può salvare; debbono esserci i mezzi, questo è certo, un farmaco, una parola, un gesto, un'uscita, ma l'autonomia delle intenzioni è sovrana...altrimenti finirebbe, questo mondo, per tirarti per le zampe come accaduto al povero ranocchio, rendere incosciente la tua azione, priva di energia e senso. L'amore non può salvare, se questo non esiste in te a stipulare i difficili contratti con la vita e persino il suo dono trova luoghi adatti come dimora se tu li hai preparati, hai desiderato quello per chi tu sei e puoi essere altro e non solo la sua conquista. L'amore, affermava Carotenuto, si veste di luoghi e sembianze così difficili da spogliare dalle nostre, senza abbandonarci un poco ed andare oltre... 

Drammaterapia: come lavora la trance


Hypnodrama, Il Principe Ranocchio

Accendere la lampadina interna, che fa buio fuori, comunque gli occhi si tengano, aperti o chiusi, è una pratica trasversale a tutte le culture, che si getti uno sguardo alla meditazione zen, allo yoga, all’ipnosi ed a moltissime altre discipline spirituali. La nostra interpretazione psicologica nulla toglie al fenomeno che comunque può instaurarsi quando praticato attraverso un allenamento specifico o, occasionalmente, occorrere nella vita quotidiana. Ma se poi ci si riferisce alla esplorazione ed al suo utilizzo, allora è bene chiarire che nulla avviene spontaneamente in tal senso. Insight improvvisi ed inaspettati ci raggiungono molte volte dalla profondità del nostro Io, ma diversa cosa è “andare a caccia” di noi stessi. Il lavoro con la trance, ad esempio, sia che ci riferiamo all’autoipnosi che all’hypnodrama come praticati nel nostro atelier, è un insegnamento che in alcuni suscita resistenze, perplessità, insomma un "safari" che può essere temuto, anche se si è motivati  a riceverlo: accettiamo di sognare la notte, ma cosa diversa è ritrovarsi a farlo nel corso di un laboratorio insieme a compagni di viaggio che performano le loro abilità e risorse creative. Tuttavia, il tempo sa lavorare in profondità, come il vento e l’acqua ed un motivato investimento in pratica spesso raggiunge, anche presto, notevoli risultati. Basta uno schiocco delle dita dell’operatore, una volontaria chiusura degli occhi, un segnale che ci diamo internamente, un silenzio prolungato nel setting dramma terapico, una scena dove siamo spinti a far lavorare attore e personaggio insieme ed intensamente, una emozione significativa per noi …ed ecco che avviene la discesa dentro, abbandonando la scena di fuori o facendola coesistere, come nell’hypnodrama. Il viaggio verso l’autenticità –abbiamo già dibattuto tra verità ed autenticità- ha inizio e la nostra parte è “recitata” con la "voce" che ci appartiene, ad onta di quella che esigerebbe il testo, il personaggio, il director. Infrazione creativa che fa lavorare il processo drammaterapico verso una nuova definizione di noi stessi e del canovaccio ed i suoi simboli. Dopo, si tratterà di considerarle con l’aiuto dell’Io cosciente, raziocinante insieme alla calda compagnia del nostro vissuto e delle sue emozioni.

domenica 26 settembre 2010

Drammaterapia: coscienza e drama


Il "rito"
Dopo l'acquisizione della coscienza, l'animale uomo si è confrontato con il dolore dell'anima, differente da quello "recettoriale", con la paura che accoglie la possibilità di autodeterminarsi senza l'ausilio del solo istinto e, a volte, addirittura in contrasto con esso. Responsabilità che inebria di potere, che regala la fascinazione dell'illusione, della speranza, dell'idea del sovrannaturale, il panico della preveggenza. Il pericolo della caduta nel peccato "originale", in una visione laica, potrebbe essere il "confine" che contiene ed insieme limita -e così protegge. Non sono più la madre natura e gli adattamenti a garantire la sopravvivenza della specie, del gruppo e dell'individuo, ma qualcosa che attiene ad un prodotto della sua coscienza: la consapevolezza della propria finitezza, del proprio breve viaggio vitale e destino e le risposte che egli darà. Ed allora l'istinto dentro di lui si coniuga con la sua nuova dimensione "intelligente" e celebra nel "rito" lo scampato pericolo dello stato inconsapevole, confortandosi nel gruppo, l'empatia si costruisce sull'istinto di specie: questa è la dimensione del drama. L'agito gruppale di una tensione di smarrimento che intende esorcizzare la dimensione di fantasmi invece inesistenti nella mente dell'animale od appena, accennati, se è vero che essi sognano -ed è vero-, ma senza la consapevolezza di farlo. Il drama produce, ritualizzate, espressioni grafiche, canti, racconti mimati, danze e si associa persino al bisogno  nuovo di proteggersi dalla natura ed usarla, creando il linguaggio, il racconto orale, la scrittura, il linguaggio musicale, la commedia, la tragedia la sceinza e la tecnologia. In tutte queste espressioni, che costituiscono la cultura, sempre quel bisogno di significare "pericoli scampati" e "soluzione dei problemi" e, celebrando il potere di saper riconoscere la sconfitta, così dominata, capace di scrivere anche tragedie, letterarie e vere.  Il Male ed il Bene sono i prodotti della sua intelligenza, dell'appena nato "libero arbitrio" sopra gli istinti, con il limite di una sapienza ancora da conquistare, simboli che pervadono, contenendo la sua azione, che siano codici privati o partecipati. Tutti i suoi prodotti culturali si connotano della morale solutoria, della storia che "finisce bene", come del "vissero felici e contenti" ed il sotteso timore che tutto non possa sempre essere così è comunque contenuto da storie e racconti ad esito infausto, che costituiscono la sua creazione, dunque dal quale non può essere colpito alle spalle. Non ci auguriamo "in bocca al lupo" e creiamo limiti ivisibili alle nostre azioni come gatti neri, specchi infranti, sale a terra, passaggi sotto una scala, tredici a tavola, specchi pericolosi...? Una "virtualita" di pericoli che si chiama "magia", che si nutre di tradizione, che possiede nel suo cuore il passaggio fondamentale attraverso la coscienza dell'essere e la sua ora cosciente fragilità.



Questo conciso preambolo a spiegarvi che anche nel lavoro drammaterapico vive, riassunto, questo processo. Osserviamo l'esperienza dell'ultimo laboratorio, dove un ranocchio, forse, potrà ridiventare il principe che è, grazie all'azione (bacio) di una fanciulla. Sono state descritte le paure, l'impotenza, l'incomunicabilità, il dolore e, tuttavia, anche quando tutto sembrava precipitare verso una disfatta, è sempre alitata la speranza, l'illusione, la magia del drama: comunque le tre coppie si sono "salvate". Comunque il principe, angosciato di rimanere ranocchio, ha abbracciato la sua principessa; quello perplesso dalla eburnea e marmorea freddezza dell'ospite ha dato colore e calore all'abbraccio finale e la rigidità del terzo principe è stata finalmente corrotta dall'azione ostinata e strategica della mia aiuto-regia nei panni di principessa, anche lei! Ecco qui, ancora una volta, la correzione "magica": quando le cose si mettono male, l'istinto che collude con l'intelligenza asuperare ostacoli -e spesso vi riesce-, che resetta la "drammaticità" della situazione e "decide" che tutto debba andare bene.
Lo scorso anno, il CDIOT ha vissuto questo "essere in bilico" tra caduta, resistenza e vittoria nell'epica della drammaturgia sul "il Rinoceronte", così come era stata redatta attraverso i feedback degli interpreti-personaggi che avevo colto durante i laboratori (l'In-Out del nostro statuto operativo). L'avevo intitolata appunto "Things go wrong"...le cose si mettono male. Quel momento lucido o confuso dove bisogna fare scelte: arrampicarsi sugli specchi della nostra cultura, lasciar suonare gli istinti che dentro abbiamo, dare spazio al sentimento, alla ragione? Un quesito che diventa solo estetico, dove, in questi termini, non  esiste verità. 

sabato 25 settembre 2010

Drammaterapia, quando la Principessa s’immerge nello stagno. Meta-analisi di un frammento di laboratorio









Parte II
La Principessa è stata oramai strappata allo Stagno, così tanto sottratta a quel luogo che parte di esso vi rimane attaccato...Un piccolo ranocchio, forse Principe anche lui, forse solo anfibio è trascinato via dal suo luogo nel vortice che vuole riprendersi "umana", sulla terra, la giovane fanciulla. Le lunghe zampe posteriori allungate, lui sul fianco, stremato dal tentativo di trattenere l'allegra e dolce compagna di giochi. Tutti osservano. Silenzio e sconcerto, mentre il director indica che "qualcuno", in questa diatriba tra crescita ed involuzione, tra libertà e possesso, "ci ha lasciato le penne"!  Il ranocchio è morto, lui...così avezzo per natura a praticare tra terra ed acqua, forse è stato fiaccato da un tentativo che spostava il suo progetto a cercare altro. La Principessa lo osserva, sicuramente con grande dolore; Il Re padre è sconcertato, direi impietrito,  e con lui Regina madre; ogni donna è comunque madre nella vita..Quel corpo freddo è ora più freddo di quanto la natura preveda per lui. Non si muove, viene spostato, tirato per le zampe in un luogo più asciutto, più "umano", come quegli sguardi impauriti che ora lo stanno osservando. Sì, è morto ed allora intorno a lui il corteo degli "umani" si affanna in carezze che vorrebbero tirarlo indietro, nella vita, indietro nella storia. Il Re padre: "...se questo ranocchio è perito, in lui è morta anche la possibilità di diventare un "principe". Poco prima, nei panni del Ranocchio, egli aveva sperimentato il dolore di una impossibilità ad esserlo ancora...un principe vero ed ora si ripete la pena conosciuta, il nuovo attentato alla "salvezza" del proprio intento, desiderio, liberazione. I volti sono affranti; più che affranti...congelati anch'essi e non si ascolta più alcun gracidare intorno. Il viso della Principessa è un'elegia di "preghiera", un essere in tanti posti tra il prima ed il poi. Un sacro pianto nel silenzio del possibile.

Foto di scena: Laboratorio di Storytelling ed Hypnodrama, Il Principe Rospo, 10.09.10, Claudio Gioacchini Photographer All rights reserved. Powered by Atelier Liberamente

mercoledì 22 settembre 2010

Drammaterapia, quando la Principessa s’immerge nello stagno. Meta-analisi di un frammento di laboratorio










Parte I
Il Ranocchio appare perplesso (cosa diversa dall’essere, ma che può tuttavia anche coincidere). Certo che anche questa caratteristica, la perplessità, possiede significati differenti tra l’animale e l’uomo; ma lì, comunque, questi ci sono tutti: il Ranocchio è anche un "principe" che dorme dentro quello. La perplessità dell’animale che incontra un umano…da temere, da riconoscere, con la “responsabilità” tutta istintiva, ma anche esperienziale, di prendere un decisione: la fuga, l’immobilità? E poi la perplessità-stupore del “principe” dentro al Ranocchio, nell’incontro con una umana-fanciulla-Principessa-che si ferma-s’incuriosisce- lo guarda- lo accarezza- si piega alla sua altezza…e tutto quello che di lì a poco avverrà.
Il Ranocchio è titubante, anzi molto di più: è letteralmente paralizzato, proprio come  l’animale che si sta confrontando con una possibile minaccia, ancora gestibile, da controllare attraverso una momentaneo, esasperato all’erta di tutti i sensi. Ogni “antenna” è pronta a captare qualunque minimo segnale che faccia “bingo” nella corrispondenza dell’archivio dell’istinto e dell’esperienza sino ad allora. L’antenna del nostro Ranocchio è anche “umana”: come si sta comportando la Principessa? Il Principe Ranocchio ci racconterà più tardi di aver vissuto appunto “esasperata” questa analisi tutta umana, dentro l’animale che tuttavia aveva assunto in sé. La Principessa lo blandisce teneramente, ma egli non avverte “potenza” dietro quei gesti e s'insinua più imperiosa nella sua mente l’angoscia che forse non riuscirà mai a tornare alle sue sembianze di Principe, quelle per le quali si sente votato da sempre. Se questo è quanto sta vivendo, tuttavia la Principessa è in un’altra posizione: la propria dolcezza è stata scelta come “strumento” per il risveglio e le sue espressioni, in sguardi, toccamenti, carezze e vicinanza procedono a segnalargli che fuori da quel sortilegio-prigione animale vi è qualcuno che l’attende; lei è ignara del senso di quella paura nell'animale. Questo “bisticcio” comunicativo va avanti per un poco e finalmente qualcosa sblocca la condizione di stallo e rigidità della scena. Il Ranocchio si “concede” al risveglio. Difficile dire se per la troppa la paura di rimanere in quella corazza di anfibio o perché abbia avvertito più “potente” l’azione della fanciulla o questa abbia effetivamente variato le sua strategia? Ma il "risveglio" è comunque avvenuto, con sollievoi dei partecipanti. Il briefing degli interpreti, dopo, chiarisce moltissimi aspetti della dinamica psicologica di quanto esperito dai due attori-personaggi. Il processo drammaterapico ha cominciato a lavorare già dopo i primi momenti dell’induzione dell’hypnodrama avvenuta, subdola, attraverso la prescrizione dei ruoli ed ora prosegue silenziosa e visibile attraverso l’analisi cosciente di quanto vissuto. La Principessa è stordita, spiacevolmente, da quanto sta affermando il suo compagno di scena; quest’ultimo oscilla tra la mortificazione per quanto temuto ed ora quella di un senso di colpa verso la Principessa che invece sembra accettare passivamente il ruolo di ingrata artefice di quel risveglio. Tra riconoscimento di esaperate pretese (lui) ed inconsapevoli fragilità (lei), il processo di revisione critico in atto comporta un costante scambio di ruoli tra accusato ed accusatore. Ma tutto rischierebbe di avere l'epilogo psicodima+namico proprio della consuetudine familiare con se stessi. Ricucito in scuse o nell'euforita di un successo comunque realizzato o strappato al destino.

Si deve dare un tempo supplementare, un seguito a questa dinamica e senza indugio, approfittando del warm-up su stai di coscienza ancora modificati, nell'aspetto formale.
La principessa ora avverte ingrata la realtà umana, i  giudizi lapidari di quest'ultima contestualmente alla ammissione della propria “colpa”! Non può essere “salvata” più da un giudizio esterno alla propria analisi, dovrà crearsi una situazione che le permetta, esasperandoli, di far uscire fuori tutti i suoi personaggi, a costo di pescare nell'inconsueto; di farli dibattere con la realtà ed il sogno, il passato ed il futuro. Il director enfatizza le sue difficoltà, in termini di dolore, ad accettare l’avvertita propria incapacità o, almeno, quella che le valutazioni del mondo lei hanno commissionato.
Il pantano del suo disagio, diviene lo stagno dove ora è posta, lì insieme ai ranocchi, in una dimensione giocosa, che le diviene improvvisamente familiare. La fuga dal giudizio, la regressione nel bambino-ferito, la consolazione che sospende il senso di colpa: il suo volto si rasserena, il sorriso si espande in grandi cerchi concentrici sullo specchio dell’acqua stagnante a contagiare persino i ranocchi...quale potere!. Lei ora sa giocare. Lei ora accetta di perdere parte delle caratteristiche umane per divenire quel ranocchio che ha rischiato di non "salvare" da un ingiusto destino. Ora è soprattutto “compresa” e sembra comprendere la lingua di quei saltellanti esseri che l’accolgono ed abbandonano presto ogni diffidenza.


Il Principe Ranocchio, invece, osserva la sua Principessa aver fatto il percorso inverso, essere giunta lì da dove lui è arrivato. La precedente posizione di un orgoglio ferito fa altalena con la nuova perplessità: cosa sta accadendo? La favola non ha più il suo epilogo, per quanto sofferto: l’unione disperata e raggiunta è di nuovo persa e lì la sua Principessa sembra ora disprezzare (l'uso del tempo presente è indicativo della sua proiezione) quanto si è conquistato con tanta reciproca, condivisa, fatica. Infatti, lo inquieta l’agio della fanciulla che sembra superare l’ossequio alla prescrizione del director; lei si sta effettivamente divertendo, ha forse rinunciato a quella parte adulta da condividere con il Principe. Qale tradita corrispondenza d'amore? Sì, la fiaba sembra improvvisamente aver sovvertito i termini dell’implicita dinamica, verso una "pericolosa" l’involuzione.

IL principe ora diventa il Re padre che con l’aiuto della Regina Madre cerca di distogliere la Principessa da quell’occupazione, da quel posto, da quelle vesti, da quell’intenzione. In lui il precedente sentimento di orgoglio ferito si riassume nell’atteggiamento razionale e rigido ed offeso del genitore che pensa al bene della figlia, ad onta dei suoi desideri, della sua felicità, almeno apparente. Il rigore di un proprio risveglio dovuto grazie all’azione degli altri (la Principessa) ora diventa il rigore della non tolleranza di qualcosa che esce da ogni schema preordinato, che gli fa temere di perdere la “figlia- Principessa”, come ha temuto di perdere il proprio “essere-principe” e poi la propria compagna-Principessa. Questa viene strappata allo stagno; “allo” e non solo “dallo”, perchè i ranocchi ingaggiano improvvisamente un tiro alla fune con le braccia e le gambe della fancilulla tirate dalle sorti del mondo, per trattenerla con loro. Lei in balia delle intenzioni degli altri, in un cullamento doloroso ed invece anonimo alla propria identità ed intenzione. Il Re padre riesce a tirarla fuori, ma lei vi rientra per indicazione del director: starà dunque a lei esercitare il giudizio, la responsabilità dell’errore come del successo.

La Regina madre confesserà dopo di aver sofferto nell’agire l’intenzione del director e del coniuge Re. La sua piccola Principessa sembrava felice in quel posto, forse quella era la sua strada, la sua vera dimensione...o comunque qualcosa che parla di cose importanti di lei…Ma ancora una volta la nostra fantasia, forse potente, forse giusta, a suffragio della paura di noi stessi e di quella degli altri…Ma cosa ne sa la Principessa di se stessa e cosa realmente vuole…?

I briefing privati e silenziosi di ogni interprete con il suo personaggio/i possiede l’ampiezza dell’orizzonte e può essere fatto lavorare verso le possibilità…

Foto di scena: Laboratorio di Storytelling ed Hypnodrama, Il Principe Rospo, 10.09.10, Claudio Gioacchini Photographer All rights reserved. Powered by Atelier Liberamente

martedì 21 settembre 2010

Drammaterapia, Il Principe Rospo: analisi di un frammento


Direzione dell'Hypnodrama: Il Principe Ranocchio, Atelier Liberamente, 2010

@ Director

La principessa bacia l’allegro anatroccolo e questo si trasforma nel meraviglioso principe che dormiva in lui da tempo (un sortilegio l’aveva imprigionato in quelle ingrate sembianze). Ohhhhhh….

Non vogliamo negare le virtù “magiche” di un bacio, quelle taumaturgiche, quelle legate alla iconografia dell’eros nell’arte o al più concreto chiar di luna e al senso evoluto -in termini di consapevolezza- che ha quell’annusarsi, toccarsi e leccarsi dell’animale che, ormai uomo, riconosce il proprio simile, “empatizza” con lui, gli esprime il senso del desiderio. Anche il più volgarizzato Prevert deve molto al bacio, che quest’ultimo sia timido, appena umido o dichiaratamente “francese”! Ma il fatto è che, nel laboratorio del gruppo, quello racchiudeva e concludeva lo svolgersi di una vicenda più complessa che riguardava la relazione di tre coppie più o meno bene assortite -che importa!. Sarebbero state in grado di interpretarsi nel loro specifico incontro? Facendo a meno della “dichiarazione”, di un qualsiasi antefatto -se non la trama della fiaba sino a lì-, degli aiutini del parco, del già menzionato chiar di luna, della piattaforma piccola ed oscillante di un pattino lontano dalla spiaggia, della regia di un Bergman, ecc. ecc? E poi quel “bacio”, espresso con le labbra, con il tocco di qualche falange della mano sulla spalla del rospo che “cresceva” uomo o di uno sguardo, sarebbe stata la conquista ratificante un percorso mondano a due già avvenuto, sopra la storia, ma anche dentro la storia dei singoli, a significare l’acquisizione della coscienza. Dunque, i due non si sarebbero mai dovuto baciare per caso, a costo di rimanere “rospo” gracchiante (o “principessina” disillusa). Canta Baglioni: “…tu l'altro capo di un filo un unico profilo quando guardiamo su se anche tu vedi la stessa luna non siamo poi così lontani”.

La prescrizione è stata pienamente recepita; qualche edulcorata e retorica moina di troppo nell'inizio, qualche saltello eccessivo ad imitazione dell’animale, nella ricerca di un “verismo” che non ci interessa, se è il simbolo a farci da “spirito guida” e poi…il salto verso l’altro. Con tutta la serietà e gravità del fatto, le difficoltà di”incontrarsi” e, coniugando comprensione e sentimento, per sentire se sia, sarà ed è stato possibile. Declinazione della relazione nell’orizzonte reale ed in quello apparente di due mondi differenti immersi in una stessa potenziale matrice comunicativa della cultura, dove questa è sogno, mito personale e collettivo, esperienza, ricordo, desiderio e timore.

Tre quadri simultanei, per tre opere d’arte, polverose nella soffitta che le ha celate da molto tempo. Arte personale e collettiva nel momento della fruizione-partecipazione con il restante gruppo. E lì il director, novello Desmond Morris, ad osservare i segni “umani” dei prodromi dell’arte e dell’arte dell’incontro.








domenica 19 settembre 2010

Drammaterapia: affacciati alla nostra finestra dentro

@ Blue




@ Bleu

Non fu facile per i semplici atomi del brodo primordiale riconoscersi e legarsi tra di loro per iniziare il percorso della vita sulla Terra, milioni di anni fa.
Non fu facile per l'uomo/scimmia imparare a dire “Io sono”, dare un nome alle cose, imparare a descriverle, dialogare con se stesso, ricordare, emozionarsi e sapere di poterlo fare.
Così come non è stato semplice rivivere il passaggio dall'esistere all'essere, dentro di noi, mentre eravamo confinati in uno spazio simbolicamente delimitato dalle luci delle candele, sottoposti all'azione della musica, vicini a toccarsi e al tempo stesso lontani, ognuno perso nell'ascolto interiore di qualcosa che avveniva all'interno di sè, ma ancora inconsapevoli della meta da raggiungere.
Chissà se quelle immagini di boschi, di mare, di foreste tropicali che si sono affacciate nella mente di Nero, di Astra, di Sole sono state suggerite non solo dai ricordi e dalle personali fantasie, ma anche da un serbatoio collettivo della specie umana, dove sono archiviate le visioni e le percezioni dei nostri progenitori, a partire da quel famoso uomo scimmia che imparò per primo a “vedere” e “sentire” e non più solo a “guardare” e “ascoltare”?
Suoni, rumori, vibrazioni che si combinano e formano una nota, un accordo, un canto, una melodia, poi un brano, magari la sinfonia n. 9 di Beethoven. Atomi che , solitari, vibrano nell'atmosfera, o vagano nell'acqua, si legano e diventano proteine, cellule, tessuti, sistemi viventi, batteri, piante, animali e uomo.
Recettori, neuroni, sinapsi, ormoni che, da interazioni chimiche, diventano osservazione, pensiero, coscienza, etica, filosofia e linguaggio.
E noi abbiamo rivissuto tutto questo.
Per alcuni è stato un processo fisicamente percettibile, addirittura doloroso: gli occhi di Libertà che cercavano la luce, ancor di più i corpi estranei sulla retina, il petto di Nero che sentiva l'urto di una energia possente che chiedeva spazio.
Il corpo non mente mai, e a saperlo ascoltare, ci ha guidati tutti verso la coscienza che nasce, che si risveglia e si rivela. I nostri sensi ci hanno accompagnato verso la ricerca dell'esperienza collettiva e personale del risveglio della coscienza.
L'udito e il tatto hanno guidato Astra nel riconoscere il suono del mare e l'abbraccio amichevole delle onde con cui ha giocato spensierata. Flusso, movimento, immagine di leggerezza, serenità, freschezza, il momento vissuto e assaporato.. avere conosciuto la consapevolezza è anche sinonimo di poter conoscere la gioia.
Un arpeggio speciale, personale, dedicato, ha fatto da sottofondo al cammino di Beatrice verso la percezione di un cuore che si apre, si offre al mondo, si dona. Tanto verde nelle sue parole e, come ogni praticante di yoga sa, il verde è il colore del cuore, del sentimento, dell'amore, della vita.
Blu (che sono io!), in onore al suo nome, ha visualizzato un'alba speciale, un trionfo di sfumature che spaziavano dal più vivo dei turchesi all'austerità delle tonalità cobalto, mentre sorgeva un sole che non voleva abbandonare lo spettacolare e insolito rosa acceso nato dal mix delle luci sull'Egeo. Chissà se c'è un significato nel fatto che quel giorno che vedeva nascere era il giorno di un suo ormai lontano compleanno?
Sole , quanto ti è stato difficile abbandonare quella jungla che la tua mente visualizzava e quella pozza di acqua limpida che si rifiutava di essere stagno? Ma quando la tua coscienza si è messa in moto, lentissima, potente e inesorabile come il movimento delle montagne, ti sei sentita più in alto della tua vita, hai raggiunto un punto estremo di consapevolezza da far dire a te stessa “Io sono, posso e voglio”. E mentre sentivi tutto questo, avvertivi il vento sulla pelle, non più ostile, ma amichevole. Vorrei pensare che sia stata una musica più sottile, uno suono più sommesso e discreto a raggiungerti, quello della leggera brezza che muoveva le cime degli alberi al parco.
Chissà se l'uomo primordiale ha scoperto, nello stesso istante in cui sentiva in sé la trasformazione dolorosa che ci ha raccontato Nero, la tenerezza e la capacità di stupirsi di cui ha parlato Mareliz.
Ci siamo tutti persi nel tuo ricordo, Mareliz, ci siamo fermati con te a guardare le stelle e gli alberi in un anfratto degli altipiani del tuo paese, vicini, stretti e abbracciati a una nonna, che conforta, rassicura, riscalda e ama in quel modo speciale che solo i nonni sanno fare.
Abbiamo visto le ombre di altissime montagne sullo sfondo (le Ande, o forse i Monti Sibillini di Nero) e abbiamo tributato rispettosa e silenziosa ammirazione a quel cielo avvolgente, ma gli abbiamo dato metaforicamente del “tu” perchè era fatto dei nostri stessi atomi e aveva fatto il nostro stesso percorso per diventare così vasto, così complesso, così grande partendo da poche molecole che avevano reagito tra di loro, sottoposte a uno stimolo potente.
Ci siamo sentiti così bene, vicino alla nonna, ascoltando la presenza delle mucche libere nei loro pascoli, nel buio; eravamo solo bambini, forse qualcuno avrà percepito anche il freddo delle notti andine, con un compito da svolgere al levar del sole, ma nulla poteva turbare quel momento in cui ci siamo fermati e ci siamo accorti di vivere.Mentre le nostre radici ci ricordavano il passato, mentre vivevamo il presente, facevamo progetti per il futuro, insieme a te, che porterai tua figlia in Ecuador.

@ Director
Mi hai commosso, per l'attenzione. Colpito, per la trasversalità culturale delle tue intime osservazioni e report su quanto sperimentato da questo meraviglioso gruppo di amici, per come li senti. Si hai ragione..."le mucche libere" a oltre 2000 metri di quota, mentre la nonna di Mareliz racconta i viaggi dell'uomo e delle stelle. Non il nonno di Heidi -tuttavia caro ai bambini- ma lo spazio che si costruisce nell'incontro degli occhi  e della voce non virtuali.

sabato 18 settembre 2010

Drammaterapia, quale bacio, quale ranocchio, quale principessa?











@ Director

Jung ha dato un’interpretazione della fiaba del Principe Ranocchio quale rito di “iniziazione” della giovane fanciulla all’amore maturo, l’acquisizione della sessualità, il passaggio delicato dal regno del castello a quello della relazione fuori, disseminata di incognite, prove, rischi e…scoperte. Nella rielaborazione drammaterapica che ne ha fatto l'Atelier LiberaMente, nel contesto del modulo di storytelling, abbiamo significato il “risveglio della coscienza” e l’automatica presa in carico di responsabilità che ne derivano e costituiscono le nostre culture. Tre ranocchi per tre principesse e…tre principesse per tre ranocchi, il capovolgimento della bella addormentata, con un pizzico di “la bella e la bestia”.

La performance delle tre coppie, estremamente differenziata, ha comportato il coinvolgimento graduale del resto del gruppo e di alcuni ospiti, sino ad un estensione della trama fiabesca in dettagli ed evoluzioni differenti da quelle della fiaba. I progressivi feed-back che venivano offerti da gruppo recitante e spettatori sono divenuti elementi strutturanti un prosieguo della fiaba che ha lavorato tematiche e risorse lì elicitate.

Nessun bacio può risvegliare alcuno. L’atto di dono o di scoperta vive della condivisione e si declina in un divenire che, se ha puntuali e trasversali i momenti di passaggio, preclude già alla evoluzione del rapporto. In tal senso questo” bacio è profetico; persino profetico del nostro passato, perché riassuntivo delle sue tensioni ed insieme propositivo di un percorso. Qualsiasi cambiamento non può che essere colto nella triade di tre tempi, inscindibili, sempre.

Foto di scena: Laboratorio di Storytelling ed Hypnodrama, Il Principe Rospo, 10.09.10, Claudio Gioacchini Photographer All rights reserved. Powered by Atelier Liberamente