L'Atelier LiberaMente è uno spazio aperto, nella misura in cui va consolidando il suo pensiero e la sua pratica. Un blog permetterà di estendere l'area comunicativa, un "drama" allargato delle idee e delle competenze. Director, E. Gioacchini







lunedì 6 dicembre 2010

Drammaterapia: il Creative Drama & In-Out Theatre pronto al debutto

@ Director

In qualche post precedente ho spiegato come un teatro "drammaterapico" sia una sfida, non solo relativamente a questo mio gruppo che lo sperimenta, ma rispetto al suo statuto e da qui desidero ripartire per proporre qualche importante riflessione agli attori, prima della piece in programma.
In cosa cosiste questa che ho definito "sfida", quali sono i limti che intende superare, quali i confini? Il vero problema da superare è essenzialmente l'assenza di un limite da superare! Nel setting proprio della drammaterapia (qualunque il contesto in cui essa lavori), vi sono i costanti moti centripeti e centrifughi dei partecipanti e del gruppo che convogliano il chaos di quanto emerge nell'incontro con il testo in tentativi di cosmos, restituendo forme provvisorie di performance e incessantemente propedeutiche ad altre successive. Il processo drammaterapico lavora in questo modo, ponendo in crisi gli adattamenti "fisiologici" delle proprie modalità di reazione e modelli della realtà, quali sollecitati dagli stimoli interni ed esterni, producendo "drama", non necessariamente accompagnati da insight. Ovviamente, il concetto di "propedeutico" è il risultato di una lettura a ritroso della dinamica, perchè immancabilmente caso e variabili non controllabili determinano punti di arrivo e nuovi turning point.  Qual'è il carattere distintivo dell' In & Out rispetto di quanto occorre comunque in qualsiasi altro setting di drammaterapia. La specificità di quanto io designo con In & Out è l'imput che il drama del soggetto può generare nello stesso e negli altri, così come i drama collettivi. Se il drama costituisce nel soggetto l'espressione di quanto evocato dall'interpretazione (la performance dell'attore), esso, riconfigurandosi come ulteriore stimolo (In), evocherà a cascata ulteriori output significanti (Out), capaci di far modulare sintomaticamente il copione recitato. Il soggetto non compie scelte, ma è agito dal testo che a sua volta si modifica nell'interpretato, nella ricerca di quella "distanza estetica" tra ruolo ed interprete. La verosimile condizione di light trance evocata dalle sottolineature che il director compie su quanto performato, con rimandi impliciti (simbolici) alle ragioni più profonde di quanto mostrato, funge da amplificatore di tutti quei "ganci conscio-inconscio" che canalizzano l'espressione più autentica (non necessariamente spontanea) del soggetto. Tutto questo si traduce proprio nella rielaborazione dei contenuti del testo da parte del director o dalla creazione vera e propria di un testo teatrale, quale risultato delle dinamiche simbolicamente esperite dal gruppo.
Se modificazioni intervengono quindi nella persona (come agurabile), non riguardano certamente le abilità interpretative, che evidentemente si affineranno con il tempo (e non dovranno mai costituire l'obiettivo del setting), ma piuttosto una diffferente modalità di progettarsi, che rimanda alla "creatività" quale espediente per uscire dall'empasse del pregiudizio, del repertorio conosciuto, proprio perchè si è abitato contenuti e modi differenti, attraverso l'azione performativa ed i suoi rimandi più profondi. Questa, succintamente, è la dinamica che interviene in questo peculiare setting dove si utilizza lo strumento del teatro come un bisturi per le realtà interne del soggetto e quelle culturali del gruppo.
Ma cosa accade in un teatro drammaterapico, che appparentemente sembra solo spostare nel rapporto con il pubblico e in un lavoro definito (la piece) quanto già in azione nei consueti laboratori del gruppo? Ho già discusso precedentemente il ruolo che ha il "rituale allargato" rispetto a quello "ristretto" (del setting di drammaterapia) in questa tipologia di teatro; di come la piece non costituisca il fine del processo drammaterapico, ma piuttosto come quest'ultimo utilizzi la piece quale situazione "catartica" che riattualizza tutto quanto già sperimentato. Quanto riassunto fin qui è per sottolineare un punto fondamentale: nel corso della piece si ha un laboratorio "totale" (come totale è questo teatro) per la presenza di un pubblico che costituisce la realtà fattuale di quanto precedentemente solo proiettato all'interno del rituale ristretto. Per l'attore, mentre "recita", il "come se" s'incontra magicamente con lo "è" seduto o in piedi davanti a lui (mentre dall'altra parte, quella dello spettatore, è quanto produce l'attore a costituire il "come se"). Consideriamo però che, nel caso della drammaterapia, la performance dell'attore è elemento di trascinamento delle sue realtà scomposte e ricomposte sulla scena molte volte, della sua fantasmatica che serve il gioco di tematiche universali (anche proprie dell'umanità che lì assiste) e di altre, più personali, che costituiscono "storie" vere, anche se silenziose o sino ad allora taciute e sconosciute anche allo stesso attore. Questo è l'intreccio di realtà e finzione, la prima "finta" e la seconda resa "vera" in quanto "possibile", che genera movimenti di catarsi nel corso dello spettacolo. E l'attore non può sottrasi a tale titanica impresa, piena di responsabilità, che, ancora una volta, non ha epiloghi previsti, ma solo percorsi possibili.

5 commenti:

  1. Comprendo e concordo con te, e questo mi aiuta a non considerare le "prove" che la vita mi pone di fronte come sfide, nell'incessante effetto vittoria-scofitta = esaltazione-frustrazione. Piuttosto considero il passare dei giorni come un divenire di eventi, che producono effetti a noi vicini o lontani, ma non necessariamente pericolosi. Esperienze, così le definirei.
    E la performance che andiamo ad affrontare è una di queste; con il sapore amaro che senti quando gira l'adrenalina, e il piacere di stare con gli altri... Circondato dagli altri.
    Il Gruppo. Il Pubblico. Il Mondo
    Nero

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  2. Non ho mai pensato ad una prova come una sfida, ne che necessariamente questa, avrebbe dovuto dare un risultato positivo, forse questo mi ha impedito di rischiare? Certo l'insuccesso mina la nostra autostima, allora meglio concedersi poche aspettative ed apprezzare un risultato non sperato, per non raggiungere mai la piena gratificazione. Sarà così anche sabato? Rebecca, stai per attraversare quella porticina per scoprire cosa c'è dietro...
    Sole

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  3. Una possibile risposta alla tua prima affermazione potrebbe essere che semplicemente non si prova perchè altrimenti sarebbe una bella sfida mettersi in gioco a smascherare le proprie difficoltà...ed allora non si prova, non si rischia e non si considera nulla come sfida, dall'interno del recinto senza finestre.
    La piena gratificazione...dov'è di casa, come deve essere fatta per essere piena? Anche decidere di non poterla mai raggiungere può significare pensare di non meritarla, mentre quella semplicemente, così come posta, non esiste. Il percorso è successo. Il percorso con sforzo e motivazione è gratificazione piena e, in molti casi, raggiunge risultati che fanno sentire soddisfatti di quanto si è camminato e poi raggiunto. La vetta di per sè è una cartolina di un posto visto da un altro. Attraverserai la tua porticina e vedrai te stessa e ti "raccoglierai" con la tenerezza di una madre, di un padre, di qualcuno che hai amato e che ami. Quello che i tuoi occhi possono dipingere supera quanto le circostanze a volte mostrano. Ma la compagna del proprio Sè sano, prudente ed insieme coraggioso potranno a tratti farti sentire anche impavida, ben sapendo che la nostra coscienza è un atto di paura consapevole che sa illuminarsi di altro. In bocca al lupo cara Rebeccca. Neanche Barbablù immaginava tu fossi così...director

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  4. Neanche Rebecca sa chi è veramente e Barbablù? Forse la sua barba non è poi così blu. Grazie per per il tuo commento.
    Sole

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  5. Ogni ostacolo da affrontare o da superare, rappresenta una prova,come in questo momento è per me questa piece. Sabato faremo una scintillante piece. Ci credo! Astra

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